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Fotovoltaico e Condominio

Il condomino può installare il fotovoltaico sul tetto condominiale?
In questo particolare periodo storico una problematica comune di tutti coloro che vivono in condominio è come ridurre la propria bolletta energetica per pagare meno e, pertanto, (anche) la possibilità di installare il fotovoltaico sul tetto condominiale.

 

Sempre più frequenti sono le richieste di installazione su parti comuni del condominio, tetto e lastrici solari, di installare un impianto fotovoltaico sul tetto condominiale ad uso esclusivo di un’unica unità immobiliare. Facciamo un po’ di chiarezza in merito e vediamo se è possibile l’installazione e quali sono le modalità.

Vediamo, innanzitutto, cosa dice il codice civile in merito alla possibilità di installare un pannello fotovoltaico sul tetto condominiale. Gli articoli 1102, 1120 e 1122 bis ci vengono incontro per risolvere il problema ed evitare preventivamente inutili e costosi contenziosi che potrebbero sorgere tra le parti interessate, condominio e condomino che fa la richiesta.

Dalla lettura delle norme sopra menzionate si evince che chiunque faccia parte di un condominio può fare uso della cosa comune, ma deve garantire lo stesso uso agli altri condomini, art. 1102. L’art. 1120 si riferisce all’installazione di un pannello fotovoltaico e solari e altre fonti energetiche rinnovabili a servizio comune di tutti i condomini.

Mentre, l’art. 1122 bis è quello che più ci riguarda per il caso specifico in quanto si riferisce all’installazione “di impianti non centralizzati di ricezione televisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare”. Quindi si evince che è possibile per il singolo condomino installare un impianto fotovoltaico a proprio uso esclusivo!

Vediamo però quale deve essere l’iter corretto da seguire.

Il condomino interessato deve necessariamente effettuare una comunicazione preventiva all’amministratore, indicando in modo dettagliato cosa intende effettuare e come pensa di realizzarlo, fornendo la documentazione relativa per la realizzazione dell’opera.

L’amministratore è tenuto, una volta ricevuta la richiesta e ottenuta la relativa documentazione, a convocare l’assemblea condominiale per metterla a conoscenza della richiesta che gli è pervenuta e perché la stessa possa deliberare in merito, ma alle sole “eventuali modalità alternative di esecuzione delle opere proposte”, o “per la salvaguardia della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico dell’edificio”.

Pertanto, se viene rispettato quanto previsto dall’art. 1102 del codice civile e sono rispettate le condizioni sopra riportate l’assemblea non può assolutamente impedire l’installazione dei pannelli fotovoltaici sulle parti comuni.

di Claudio Buzzi, responsabile amministrativo Condominio Zero Problemi

Finestre in condominio

Come fare per aprire una nuova finestra in condominio
Capita spesso che un condomino desideri aprire una nuova finestra in condominio per illuminare la sua abitazione ma per farlo servono alcune accortezze per evitare di incorrere in spiacevoli situazioni che obbligherebbero al ripristino della situazione ante operam.

 

Una problematica che talvolta si presenta durante la ristrutturazione di un immobile privato è la necessità di trasformare una finestra in una portafinestra o addirittura l’apertura di una nuova finestra in condominio o sui prospetti di facciata.

Senza tenere conto delle motivazioni che portano a decisioni di questo tipo, vediamo se un’operazione del genere – quale l’apertura di una finestra in condominio o la trasformazione di quest’ultima in una portafinestra – è fattibile o meno e quali potrebbero essere i passi necessari da effettuare da parte del proprietario dell’immobile per cercare di ottenere quanto desiderato.

La trasformazione di una finestra in portafinestra è senza dubbio un’operazione più fattibile e con meno impatto estetico rispetto all’apertura di una finestra, ma la procedura da seguire è identica.

Operazioni del genere non sono vietate espressamente dalle norme ma è necessario effettuare dei passi preliminari alla loro realizzazione per non incappare in successive spiacevoli situazioni, che potrebbero risultare molto costose oltre che l’obbligo di ripristinare lo stato originario del prospetto di facciata modificato.

Va fatta innanzitutto una considerazione preliminare in merito alla definizione di “decoro architettonico”. In una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6397/1979, emerge che i casi di violazione del decoro architettonico bisogna valutarli non in senso assoluto, ma in base alle caratteristiche degli edifici. Dal che può verificarsi che un’opera realizzata su un edificio potrebbe essere ritenuta corretta in quell’immobile rispetto alla stessa opera realizzata su un altro condominio.

Inoltre, facendo un esame più approfondito della giurisprudenza, possiamo rilevare che non si trovano norme che stabiliscono in modo ineluttabile come deve essere una modifica del decoro architettonico. L’unica cosa che emerge di certo è il “pregiudizio economico che comporti un deprezzamento dell’intero fabbricato” o di “porzioni in esso comprese”.

Lo scopo deve essere sempre quello di preservare l’aspetto esteriore del condominio, infatti l’art. 1120 del Codice civile recita: “Sono vietate le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato che ne alterino il decoro architettonico ….”. Da ciò ne consegue che l’estetica è un bene da proteggere. Vediamo adesso come procedere.

Per prima cosa bisogna sempre verificare cosa riporta in merito il regolamento condominiale, specie se è di natura contrattuale. Se il regolamento vieta espressamente la modifica dei prospetti di facciata è opportuno rinunciare sin da subito alla realizzazione delle opere, se non si vuole andare in giudizio e risultare quasi certamente soccombenti.

Se invece non è riportato nulla al riguardo è opportuno contattare l’amministratore del condominio e tastarne il polso, sentendo il suo parere. Si otterranno delle informazioni sulla fattibilità o meno, anche in base al grado di litigiosità del condominio.

È da tenere presente che in base al disposto della Corte di Cassazione, n. 14626/2010, l’amministratore è autorizzato “senza necessità di autorizzazione dell’assemblea condominiale, a instaurare un giudizio per la rimozione di finestre da taluni condomini aperti abusivamente in contrasto con il regolamento condominiale, sulla facciata dello stabile condominiale …”.

Da tenere in considerazione che anche un singolo condomino, in caso di violazione del regolamento condominiale, è legittimato ad agire in giudizio a tutela della cosa comune, come emerge da una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 28465/2019.

Il consiglio che ci sentiamo di dare è di sottoporre la richiesta all’assemblea condominiale per richiederne l’autorizzazione, piuttosto che andare in aperto contrasto con il condominio.

Nella richiesta un aspetto importante è che esiste una grande differenza se l’apertura verrà effettuata sulla facciata principale, modificandone la simmetria o su una delle facciate laterali o interne.

Una volta in assemblea non basta esporre le proprie intenzioni, ma se si vuole ottenere il consenso, è opportuno che ci sia il supporto grafico di elaborati, predisposti da un tecnico, dai quali si evinca la situazione attuale e quella post opera. Tale operazione è indispensabile per far emergere in assemblea l’impatto estetico delle opere e mettere così in condizione i condomini ad autorizzare o meno il richiedente.

Prima di dare inizio a tutto è necessario sentire il parere di un legale esperto del settore immobiliare.

di Mariolina Servino, art director del Magazine Condominio Zero Problemi

I decreto ingiuntivo

In condominio il decreto ingiuntivo è immediatamente esecutivo

Se guardiamo con attenzione a cosa ha previsto il legislatore ci accorgiamo che il decreto ingiuntivo emesso secondo l’articolo 63 delle disposizioni attuative del codice civile deve esser considerato immediatamente esecutivo “nonostante opposizione”. Un particolare che spesso in giurisprudenza viene dimenticato.

La mia tesi è una provocazione apparentemente paradossale, sapendo bene che quanto sto per scrivere costituisce una rottura traumatica con un sistema radicato (incancrenito?) da decenni. Da sempre.

Il mio ragionamento è probabilmente sbagliato, ma potrebbe essere anche un sasso nello stagno, potrebbe causare delle piccole onde che a volte, anche dopo anni, potrebbero incrinare i convincimenti anche più consolidati.

Prendo spunto ancora una volta da una lezione illuminante di diversi anni fa dell’avvocato Nunzio Izzo. Egli ha sempre affermato con forza e a ragion veduta che il diritto condominiale sia un unicum, un mondo a sé stante, per il quale l’applicazione delle norme relative ad altri istituti di diritto è una forzatura, che a volte ci fa deragliare.

Anche il decreto ingiuntivo in materia condominiale è un mondo a sé stante. Ma tutto ciò non viene detto e soprattutto non viene riconosciuto.

Il decreto ingiuntivo in materia condominiale è disciplinato dall’articolo 63 delle disposizioni attuative del codice civile, che è norma speciale e quindi diversa e derogativa rispetto alla normativa generale dei decreti ingiuntivi prevista dagli articoli. 633 e seguenti del codice di procedura civile.

Difatti il decreto ingiuntivo in materia condominiale è per espressa previsione di legge immediatamente esecutivo, non provvisoriamente esecutivo. Perdonatemi le continue citazioni, ma non intendo appropriarmi di idee altrui. L’avvocato Izzo sosteneva, con la sua abituale veemenza, che noi avvocati dovremmo fare la massima attenzione a questa differenza e lottare affinché i giudici provvedano di conseguenza.

Non solo: il decreto ingiuntivo in materia condominiale è immediatamente esecutivo nonostante opposizione. Si badi bene: l’art. 63 delle disp. att. c.c. è inderogabile per espressa disposizione dell’art. 72 contenuto nelle stesse disposizioni. È quindi norma speciale e inattaccabile. Eppure mi sembra che tutti noi abbiamo cancellato dalla mente e quindi dai nostri scritti l’inciso “nonostante opposizione”.

In certe situazioni lavorative agiamo quasi con il pilota automatico, ritenendo, almeno nei fatti se non consciamente,  che “immediatamente” e “provvisoriamente” siano sinonimi: ma se il legislatore ha usato due avverbi dal significato diametralmente diverso, se il legislatore ha ritenuto di specificare che il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali è immediatamente esecutivo nonostante l’opposizione, se addirittura i due istituti sono in due codici diversi, la logica prima ancora che il diritto vuole che il legislatore abbia operato una scelta ben precisa, voluta, disciplinando in modo differente situazioni differenti.

Per cui – se diamo alle parole il significato che esse hanno, se abbandoniamo i preconcetti stratificati da anni  – i decreti ingiuntivi emessi ex art. 63 disp. att. c.c. non sono provvisoriamente esecutivi. Sono immediatamente esecutivi. E rimangono esecutivi nonostante l’opposizione.

Il comma 4 dell’art. 5  del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 statuisce :  “I commi 1bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione …”. L’art. 649 c.p.c. prevede la possibilità che il magistrato sospenda l’esecuzione provvisoria del decreto concessa a norma dell’art. 642 c.p.c.. Ma la stessa facoltà non è concessa dal legislatore nel caso dei decreti ingiuntivi emessi immediatamente esecutivi in forza dell’art. 63 disp. att. c.c..

Quindi nel caso di giudizio di opposizione ai decreti ingiuntivi immediatamente esecutivi in materia condominiale non vi deve essere alcuna pronuncia sulla “concessione o sospensione della provvisoria esecuzione” perché non vi è una provvisoria esecuzione.

Altra conseguenza logica: nei giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi non si applicano i commi 1 bis e 2 dell’art. 5 comma 1 bis del decreto legislativo del 4 marzo 2010 n. 28, cioè non si è tenuti a svolgere la procedura di mediazione.

di Ferdinando Della Corte, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi

Quando Fare Rumore In Condominio È Reato

Prosegue l’analisi dei reati in ambito condominiale con l’esame dell’articolo 659 del codice penale che può essere invocato da chi non riesce a riposare o a lavorare a causa del rumore in condominio causato dall’altrui attività. Attenzione però che la norma ha dei paletti ben precisi.

Nel novero dei reati che possono essere commessi in ambito condominiale un posto di rilevo è senza dubbio occupato da quello di cui all’articolo 659 del codice penale e rubricato “disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”, secondo il quale chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro. Si applica l’ammenda da euro 103 a euro 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni di legge o le prescrizioni dell’autorità.

Limitando la nostra disamina al primo comma di questo articolo, rileviamo che si tratta di un reato molto meno grave di quelli trattati in precedenza su questa rivista, essendo una contravvenzione e non un delitto, punito con pena alternativa e, come tale definibile mediante oblazione. Tale reato è posto a tutela dal turbamento dell’ordine pubblico sotto lo specifico profilo della tranquillità pubblica delle persone.

Di esso si risponde sia a titolo di colpa (per esempio colpa generica, determinata da negligenza, imperizia o imprudenza) sia a titolo di dolo. In questo caso la relativa condotta può essere attiva (aver prodotto le emissioni sonore) o omissiva (non aver impedito che si producessero).

Tale contravvenzione appartiene alla categoria dei reati di pericolo, ovvero a quelli che si configurano quando il bene giuridico tutelato dalla norma viene messo in pericolo, ancorché non abbia subito una vera e propria lesione. Il reato in esame è, ad oggi, perseguibile d’ufficio e, pertanto, a prescindere dalla presentazione di una querela di parte.

Tuttavia si tenga presente che la cosiddetta riforma Cartabia, di prossima entrata in vigore, prevede la procedibilità a querela della persona offesa per le ipotesi di cui al primo comma, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità.

Passando ora ad alcuni esempi di possibile violazione della norma, si pensi al rumore in condominio e/o alle emissioni moleste e persistenti, in special modo in orari notturni, provenienti da un esercizio commerciale, o a quelli derivanti dalle emissioni sonore per una festa in un appartamento, nonché alle emissioni rumorose provenienti da impianti di climatizzazione, all’uso di apparecchi radio, di strumenti musicali, al canto e, da ultimo, ai latrati di un cane. Tuttavia, affinché tali comportamenti assumano rilevanza penale è necessario il ricorso di alcune condizioni.

Infatti, ai fini della realizzazione del reato sono necessarie e sufficienti emissioni sonore (riferibili alle condotte indicate nella norma) che superino il limite della normale tollerabilità (e non un semplice fastidio), concretamente apprezzabile in relazione al contesto spaziale e temporale, percepibili da un numero indeterminato di persone, a nulla rilevando che esse siano state effettivamente disturbate. Ciò in quanto, come accennato, la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p. è un “reato di pericolo” e come tale, si configura con la sola realizzazione della condotta idonea a realizzare l’effetto previsto e tutelato dalla norma.

Analizzando le fattispecie dei rumori prodotti in un condominio, fermo quando sopra evidenziato, il reato non è configurabile non solo quando le emissioni non superino la normale tollerabilità, ma anche quando per la loro naturale diffusione, risulti oggettivamente impossibile il disturbo di un numero indeterminato persone e siano offesi solamente i soggetti che si trovano in un luogo contiguo a quello da cui provengono i rumori, ad esempio gli inquilini di appartamenti sottostanti e soprastanti a quello di provenienza dei rumori stessi. In tal caso, pertanto, il fatto dovrà essere inquadrato nell’ambito dei rapporti di vicinato, tra immobili confinanti, disciplinati dall’art. 844 c.c.

Inoltre, per integrare il reato non è sufficiente che i rumori prodotti all’interno di un appartamento si propaghino in quelli vicini, ma è necessario che tali rumori siano di intensità tale da disturbare le occupazioni o il riposo delle persone. Infatti, il disturbo punito concerne non soltanto il riposo ma altresì la quiete che è un bene tutelato ad ogni ora diurna e notturna a prescindere da orari lavorativi. Si tenga poi conto del fatto che non ha alcuna rilevanza la durata del rumore in condominio, ben potendo la quiete essere disturbata anche da un rumore breve ed improvviso, quando sia molto elevato.

Passiamo ora ad analizzare alcune sentenze della Corte di Cassazione onde comprendere meglio il reato in esame. Secondo la giurisprudenza di legittimità: “Non è configurabile il reato di cui all’art. 659 c.p. se i rumori arrecano disturbo solo ai vicini occupanti un appartamento limitrofo, all’interno del quale sono percepiti, e non anche ad altri soggetti abitanti nel condominio cui è inserita la stessa abitazione” (cass. pen., sez. III, 11.05.17, n.30156 in Diritto & Giustizia 2017, 16 giugno, nota di Erica Larotonda).

Ed infatti, “perché sussista la contravvenzione di cui all’art 659 c.p. relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni, non solo dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma una più consistente parte degli occupanti del medesimo edificio” (cass. pen. sez. III, 21.03.18, n.17131 in Responsabilità Civile e Previdenza 2018, 4, 1312, confermata da cass. pen. sez. III, 29.09.20, n.31741 in Diritto & Giustizia 2020).

Tuttavia poiché “è sufficiente che il disturbo venga arrecato ad un numero indeterminato di persone e non al singolo, anche se raccolte in un ambito ristretto, come può essere un condominio…” il reato in esame “..scatta anche se a denunciare è una sola famiglia, se dalle misurazioni risulta che potenzialmente le emissioni sono in grado di disturbare più persone…” (cass. pen. sez. III, 11.01.18, n.18521 in Guida al diritto 2018, 22,19).

E così” “affinché si configuri il reato…occorre che il rumore in condominio e/o le emissioni sonore siano, anche solo potenzialmente, idonee a disturbare un numero indeterminato di persone, non essendo sufficiente che la condotta contestata si avvenuta all’interno di un complesso condominiale, laddove le lamentele provengano da un unico nucleo famigliare” (cass. pen. sez. III, 28.03.19 n.27968, in Diritto & Giustizia 2019, 27 giugno).

E pertanto “il disturbo esclusivamente nei confronti del denunciate, che nella specie aveva riferito di essere disturbato dai rumori del bar soprastante la sua abitazione, non integra il disturbo ex art. 659 c.p.” (cass. pen. sez. III, 12.06.19, n.50772, in Diritto & Giustizia 2020, 27 dicembre).

Si rammenti, però, che “l’affermazione di responsabilità per la fattispecie di cui all’art.659 c.p. non implica, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbare un numero indeterminato (fattispecie relativa al rumore in condominio provocati dal continuo abbaiare di un cane)” (Cass. pen. sez. III, 29.11.18, n.5800 in Diritto & Giustizia 2019, 7 febbraio).

Da ultimo, teniate conto che la Cassazione ha affermato che realizza “il reato di cui all’art.659, I comma, c.p., la condotta del responsabile di una società avente ad oggetto l’organizzazione di corsi scolastici, la cui sede sia allocata in un condominio, che attraverso i rumori derivanti dallo svolgimento dell’attività scolastica e dal flusso continuativo della relativa utenza (nelle specie, con andirivieni quotidiano, mattutino e pomeridiano di persone tra studenti, docenti, personale d’ufficio, personale delle pulizie, continua aperture e chiusura delle porte dell’ascensore e della porta d’ingresso dell’appartamento destinato a scuola) risulti avere disturbato le occupazioni e il riposo delle persone abitanti nel condominio” (cass. pen. sez. III, 20.09.16, n.1746 in Guida la diritto 2017, 10,90).

di Mirko Scorsone, avvocato penalista

Decreto Trasparenza: Le Novità In Vigore Dal 13 Agosto

Il Governo ha aggiornato con il decreto trasparenza gli obblighi a carico dei datori di lavoro ampliando la tutela anche per altre figure. La norma introduce diverse regole che è bene conoscere per non incappare nelle sanzioni.

Con l’introduzione del decreto legislativo n. 104/2022 – c.d. Decreto Trasparenza – attuativo della Direttiva UE 2019/1152 è obbligo dei datori di lavoro dell’UE  di assicurare condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili. Il datore di lavoro dal 13 agosto scorso ha l’obbligo di fornire al lavoratore tutte le informazioni principali relative al rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro ha l’obbligo di comunicare a ciascun lavoratore in modo chiaro e trasparente le informazioni previste dal dlgs n. 104 del 2022 in formato cartaceo oppure in modalità elettronica o telematica come email personale del lavoratore, email aziendale messa a disposizione dal datore di lavoro tramite consegna di password personale al lavoratore (circolare INL 42022). Le informazioni devono essere conservate e rese accessibili al lavoratore, il datore di lavoro dovrà conservare la prova dell’avvenuta trasmissione o ricezione per cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Le nuove regole sulla trasparenza nei contratti di lavoro vanno a modificare il decreto legislativo n. 152 del 1997 che regolava la materia e che prima era riferito al solo lavoro subordinato, estendendo la disciplina a tutti i rapporti lavorativi, anche atipici, e rafforzando le tutele.

La circolare n. 4 emanata lo stesso 10 agosto dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito chiarimenti, specialmente per quanto riguarda il carattere sanzionatorio. L’ispettorato specifica, tra le altre cose, che il provvedimento ha efficacia dal 13 agosto ma si applica ai rapporti in essere al 1 agosto 2022, oltre a definire l’estensione degli obblighi di trasparenza ai lavoratori impiegati con tipologie contrattuali atipiche. Sul tema è intervenuto anche il Ministero del Lavoro con la circolare del 20/09/2022 n. 19.

I contratti coinvolti

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro chiarisce che il decreto Trasparenza trova applicazione in particolare per i seguenti rapporti contrattuali:

  • Contratti di lavoro subordinato, incluso quello agricolo (come era già previsto dal Dlgs n 152/ del 1997che il nuovo decreto Trasparenza va a modificare);
  • Contratti in somministrazione;
  • Collaborazioni etero organizzate del dlgs 81/2015 art. 2 comma 1;
  • Contratti intermittenti;
  • Contratti di prestazione occasionale;
  • Collaborazioni coordinate e continuative;
  • Rapporti di lavoro marittimo e della pesca;
  • Rapporti di lavoro domestico;
  • Rapporti con la pubblica amministrazione.

 

Sono esclusi dai nuovi obblighi informativi
  • i rapporti con un tempo di lavoro predeterminato ed effettivo di durata pari o inferiore a 3 ore a settimana in un periodo di riferimento di quattro settimane consecutive;
  • I lavoratori con rapporto di lavoro autonomo d’opera o professionale;
  • I lavoratori sportivi con rapporto di lavoro autonomo non in forma di collaborazione coordinata e continuativa;
  • I familiari che collaborano nell’impresa del familiare titolare;
  • Lavoratori autonomi con rapporto di agenzia o di rappresentanza commerciale.

I nuovi contratti di lavoro dovranno contenere delle informazioni obbligatorie, la circolare n 4 del 10/8/2022 ha chiarito come il nuovo decreto abbia definito gli oneri informativi che il datore di lavoro è tenuto a comunicare al lavoratore.

  • L’Identità delle parti, con particolare attenzione anche in caso di co-datori di lavoro.
  • Il luogo di lavoro, in mancanza di un luogo fisso, il datore di lavoro dovrà comunicare che il lavoratore sarà occupato in luoghi diversi, o è libero di determinare il proprio luogo di lavoro.
  • La sede o il domicilio del datore di lavoro.
  • L’inquadramento, il livello e la qualifica, o in alternativa la descrizione sommaria del lavoro conferito.
  • La data di inizio del rapporto di lavoro.
  • Tipologia del rapporto di lavoro, precisando se in presenza di rapporti a termine e la durata prevista .
  • Durata del periodo di prova.
  • Il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro se prevista.
  • La durata del congedo per ferie, e degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore.
  • La procedura, la forma e i termini del preavviso in caso di recesso del datore di lavoratore o del lavoratore.
  • L’importo della Retribuzione e i relativi elementi che la costituiscono, deve essere indicato anche le modalità di pagamento.
  • La programmazione dell’orario di lavoro, eventuali condizioni in caso di lavoro straordinario, eventuali condizioni di cambiamenti di turni, di programmazione del lavoro.
  • Il contratto collettivo, anche aziendale, con indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto.
  • Gli Enti e gli Istituti che ricevono i contributi sia previdenziali che assicurativi dovuti dal datore di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro; elementi aggiuntivi sulle modalità di esecuzione della prestazione nel caso siano organizzate con l’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.
Le sanzioni previste per i casi di mancata applicazione del diritto di informazione sugli elementi del rapporto di lavoro, le condizioni di lavoro e la relativa tutela, (obblighi del dlgs. 1042022 agli articoli 1, 1bis, 2, 3, 5 comma 2) è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a 1.500 euro  per ogni lavoratore interessato. Le violazioni si realizzano allo scadere dei termini previsti (sette  giorni o un mese) in relazione alla tipologia delle informazioni omesse.

di Marina Parente, consulente del lavoro

Chi Paga I Debiti Di Un Condomino Defunto?

Chi eredita accetta sia i beni sia i debiti del de cuius ma secondo alcune regole precise stabilite dalla legge e con l’eccezione del coniuge che ha diritto di abitazione. Vediamo nello specifico chi paga i debiti di un condomino defunto e su chi deve rifarsi l’amministratore.

Se un condomino possiede, nel proprio patrimonio, un immobile sul quale insistono debiti condominiali, in caso di sua morte, chi dovrà onorarli? I chiamati all’eredità possono decidere di rinunciarvi (art. 519 c.c.). In tale circostanza, non rispondono dei debiti ereditari, né tantomeno delle spese condominiali.

Nel caso di accettazione dell’eredità, invece, gli eredi subentreranno a titolo universale, in ogni diritto e in ogni onere del loro dante causa per cui, si applicheranno le leggi sulla comunione ereditaria, in particolar modo ai debiti ereditari e, nello specifico, ai debiti condominiali.

Gli eredi sono obbligati a corrispondere l’intero importo dovuto anche se antecedente l’anno precedente all’accettazione dell’eredità; per contro non vi è tenuto colui che subentri al de cuius a titolo particolare, ad esempio, in qualità di legatario (Cass., sent. n. 24133/2009).

L’entità del debito “ereditato” varia in ragione del momento dell’insorgenza del medesimo.

Per i debiti sorti prima del decesso del de cuius la norma di riferimento è l’articolo 752 c.c., riguardante la “Ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi” per il quale: “I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto”.

Dovendo applicare la stessa norma ai debiti condominiali sorti prima della morte del condomino, non troverà applicazione l’articolo 63, comma 4 delle disposizioni attuative del codice civile in materia di condominio per il quale “chi subentra nei diritti di un condomino defunto è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente”. Ma, diversamente, poiché fanno parte ancora della “comunione ereditaria”, sia che si tratti di oneri ordinari che straordinari, gli eredi ne risponderanno in proporzione alla quota di riferimento.

Per gli oneri condominiali sorti dopo il decesso, gli eredi risponderanno in solido alla stregua di qualunque proprietario di immobili, in quanto con l’apertura della successione tutti coloro che hanno accettato l’eredità sono diventati comproprietari dell’immobile.

L’amministratore del condominio che abbia ricevuto dagli eredi la comunicazione dell’accettazione di eredità potrà recuperare il credito del condominio verso il condomino defunto, mediante ricorso per ingiunzione nei confronti di ogni erede, ciascuno pro quota di competenza.

Per i crediti successivi, potrà richiedere un unico decreto ingiuntivo nei confronti di tutti gli eredi per il pagamento in solido. Il coerede che abbia pagato l’intero importo potrà rivalersi nei confronti degli altri comproprietari per la rispettiva quota di ciascuno di essi.

Un’eccezione a tale principio si riscontra nel caso in cui alla morte del condomino subentri l’altro coniuge.

In tale caso, per le sole quote condominiali successive al decesso, risponderà solo il coniuge in quanto titolare del diritto di abitazione (Cass. sent. n. 9920/2017).

Il recupero del credito da parte dell’amministratore è condizionato dall’accettazione dell’eredità da parte degli eredi. Qualora questi rinuncino e l’asse ereditario passi ai successivi chiamati non rinvenibili o anch’essi rinunciatari, l’amministratore può rivolgersi al tribunale al fine di chiedere la nomina di un curatore dell’eredità giacente. Questo provvederà a saldare i debiti in sospeso, nei limiti della consistenza del patrimonio ereditario e ad onorare le successive richieste di pagamento pervenutegli dall’amministratore.

Invece, nel caso in cui un condomino rinunci all’eredità con danno dei suoi creditori o non dichiari di accettarla in seguito all’esperimento della c.d. “azione interrogatoria” (azione finalizzata alla fissazione di un termine – per accettare o rinunziare all’eredità –  superato il quale l’erede perde il diritto di accettare) sussistendo in entrambi i casi il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore , i condomini-creditori possono farsi autorizzare dal tribunale ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti (art. 524 c.c.).

di Luigi De Santis, avvocato

Con Lo Stop A Google Analytics Le Aziende Sono A Rischio Sanzione

A giugno il Garante della Privacy ha dichiarato illegittimo l’uso dei dati personali fatto da Google Analytics. Ma a rischiare le sanzioni sono i titolari di molti siti Web, spesso ignari della decisione. Contattare un consulente per verificare è il modo migliore di evitare le multe.

Che cos’è Google Analytics? E’ uno strumento gratuito fornito da Google che permette di monitorare il proprio sito web mostrando statistiche e dati relativi all’accesso degli utenti. Proprio la modalità di trattamento, con il trasferimento di dati personali negli USA, è stata considerata illecita dal Garante della Privacy. Lo scorso 23 giugno il Garante italiano si è allineato alla posizione presa dalle altre autorità europee e ha dichiarato che Google Analytics “viola la normativa sulla protezione dei dati perché trasferisce negli Stati Uniti, Paese privo di un adeguato livello di protezione, i dati degli utenti”.

La sentenza si riferisce alla versione “Google Analytics 3” o “Universal Analytics”. Che altro non è che la più diffusa nei siti web come strumento di tracciamento e analisi degli utenti e del loro comportamento sul Web. Alla base dell’illecito non c’è l’utilizzo di Google Analytics in sé e per sé, bensì il fatto che Google Analytics raccoglie e detiene dati personali degli utenti. Così facendo le agenzie governative statunitensi per la sicurezza possono accedere ai dati personali degli utenti raccolti da società con sede negli USA, come lo infatti è Google.

Inoltre possono farlo senza particolari manovre burocratiche e senza che gli interessati ne abbiano notifica o possano opporvisi, anche qualora si trattasse di cittadini europei. Questa libertà di accesso ai dati personali si scontra con le tutele previste dal Reg. UE 2016/679, che è il quadro di riferimento europeo per il trattamento e la tutela dei dati personali. Con l’occasione l’Autorità ha richiamato all’attenzione di tutti i proprietari italiani di siti web, pubblici e privati, l’illiceità dei trasferimenti verso gli Stati Uniti attraverso Google Analytics e ha invitato tutti i titolari di trattamento a verificare la conformità di utilizzo di cookies e altri strumenti di tracciamento dei propri siti Web.

A rischiare le sanzioni del Garante, sia ben chiaro, non è Google, bensì la tua azienda, in quanto titolare del trattamento dei dati. Se vuoi sapere se il tuo sito web sta utilizzando Google Analytics 3 ti consigliamo di contattarci allo 06.83970884 o a scriverci a info@epra.it. In questo modo saprai se stai violando la normativa europea e, soprattutto, sapremo indicarti come adeguarti.

di Ludovica Leoni

Mercato Immobiliare: Meglio Risolvere Con Il Catasto Prima Di Vendere

Burocrazia, sistemi ancora obsoleti e tempi lunghissimi per avere documenti richiedono sempre di più la presenza di figure professionali del mercato immobiliare in grado di arrivare al rogito con i documenti in regola.

Il mercato immobiliare negli ultimi anni ha subito una trasformazione nei modi e nelle tempistiche.

Oggi per immettere nel mercato immobiliare un nuovo immobile non sempre è sufficiente un semplice inserimento sui portali che pubblicizzano la loro vendita ma è frutto (qui sta la serietà del consulente immobiliare incaricato alla vendita) di una selettiva e attenta verifica della conformità di tutta la documentazione inerente l’immobile posto in vendita e la loro, a volte difficile, reperibilità.

Oggi quello che nel passato, poteva essere un “non problema”, si è trasformato in qualcosa di complicato e di difficile e lunga soluzione.

La documentazione di una casa messa in vendita oggi deve essere in linea e conforme alle norme attuali ma soprattutto ci devono essere tutti gli strumenti adatti ad ottenere tale conformità.

Ecco che qui nasce l’esigenza di affidarsi ad un tecnico o ad un consulente immobiliare abilitato e regolarmente iscritto al ruolo che possa esaminare tutta la documentazione, la loro completezza e stilare una prima verifica per poter evidenziare una eventuale carenza che porterebbe ad una non immediata commerciabilità del bene.

Tutto adesso deve essere perfettamente in regola, ed è qui che purtroppo nascono i veri problemi, perché se da una parte il ‘consulente’ può verificare le carte e segnalare al proprietario eventuali mancanze (catastali, urbanistiche, fiscali …) ottenere quest’ultimi in alcuni casi è un percorso lungo e costoso. Purtroppo questo oggi è il vero ‘freno’ al mercato immobiliare.

Abbiamo una macchina che regola questa disciplina commerciale che è priva di mezzi che possano snellire tali procedure di rilascio e una ancora lenta burocrazia amministrativa a fronte di moltissime richieste che la vendita di un immobile richiede. Questa situazione non fa altro che allungare di mesi il rilascio di documentazione, basti pensare che per il rilascio di una concessione in sanatoria oggi i tempi previsti sono di 3/5 mesi! Per non parlare poi di richieste di progetti e licenze.

C’è anche da dire che presto arriveremo a un ‘Certificato di Conformità Urbanistico’ (già previsto in realtà in qualche Regione ) come documento necessario e indispensabile per poter alienare un immobile.

Certo è che il rilascio di tale documento dovrà essere facilitato. I tecnici preposti, nel redigere tale documento dovranno essere messi nelle condizioni di poter lavorare con facilità di consultazione e velocità nel rilascio di documentazione. Gli stessi ‘Consulenti Immobiliari’ dovranno nel contempo, da parte loro, esaminare attentamente la documentazione e verificare la loro conformità.

Meglio è perdere’ un po’ di tempo prima di immettere sul mercato un immobile in modo tale che una volta trovato il giusto acquirente si possa definire il tutto in perfetta tranquillità.

La mia speranza è che tutte queste difficoltà che ora ci sono, nel tempo possano essere solo un ricordo ma soprattutto che tutta la macchina che regola il catasto e le parti urbanistiche del territorio venga aiutata da una completa ed efficiente informatizzazione di tutto il sistema stesso, affinché si possa arrivare ‘felici e contenti’ a dire “Ho venduto casa”.

di Giovanni Romani, agente immobiliare

Bacheca Digitale: Un’evoluzione Condominiale Al Passo Con I Tempi

La bacheca digitale è uno degli strumenti che sta sostituendo i vecchi sistemi per tenere informati i condomini: avvisi, segnalazioni e informazioni in tempo reale (a volte in modo del tutto gratuito).

Apparentemente è una comune bacheca digitale, simile ai tanti cartelloni pubblicitari per la digital signage che vediamo ovunque. In pratica, è una piattaforma evoluta che raccoglie le informazioni sul palazzo e il quartiere e le mette a disposizione degli inquilini. Si rende necessaria, inoltre, anche per il contenimento del consumo della carta usata per le comunicazioni nella tradizionale bacheca.  In sostanza è un vero e proprio computer corredato di touch screen da istallare in uno dei vani condominiali comuni. Ed è collegata alla rete mediante una SIM interna oppure tramite il wifi.

La bacheca digitale, quindi, rappresenta lo strumento che può permettere agli amministratori di condominio la gestione degli avvisi da un qualsiasi dispositivo. E si tratta di uno degli strumenti di pubblica utilità anche in veste di “social condominiale”, consentendo il controllo dell’accessi dei vari fornitori dei servizi e la segnalazione di tutti i guasti in tempo reale

Cosa succede nel nostro quartiere? Una domanda semplice, alla quale spesso però non sappiamo dare una risposta. Del resto, fra lavoro e impegni vari si è spesso fuori casa ed è sempre più complicato stringere rapporti coi vicini e vivere il proprio quartiere. Questa piattaforma digitale dedicata a inquilini, amministratori di condominio e inserzionisti locali. 

Dal punto di vista strettamente tecnologico, è un prodotto essenziale: si tratta di un tablet con un generoso schermo da 21,5″ che si installa nell’androne dei condomini e sostituisce la classica bacheca “analogica” dove vengono affisse le comunicazioni riguardanti il condominio (assemblee, numeri di telefono utili, comunicazioni e via dicendo).  Viene controllata dall’amministratore del palazzo tramite un software gestionale (il cui utilizzo è gratuito) che permette l’inserimento di annunci e di nuove comunicazioni. I residenti, invece, possono accedere alla bacheca digitale anche tramite una app gratuita disponibile per iOS e  Android, che consentirà sia di consultare la lavagna ovunque ci si trovi, sia di poter comunicare direttamente coi vicini e accedere alle offerte pubblicizzate. 

Uno degli aspetti più intriganti delle bacheche digitali è che ci sono alcune società che le offrono gratuitamente. Sarà necessaria una delibera condominiale per installarla, ma né l’amministratore né i condomini dovranno sborsare un euro per utilizzarla. Chi paga? Gli inserzionisti, naturalmente. È infatti un’opportunità per le imprese che potranno sfruttare degli spazi sulla bacheca digitale e sulla relativa app per fare offerte mirate e geolocalizzate, oltre che per emettere sconti tramite coupon. Un approccio ben più efficace ed economico rispetto ai classici volantini che intasano le caselle di posta. 

Decine di persone e famiglie che condividono lo stesso indirizzo sono un patrimonio sociale riscoperto che oggi si apre al digitale. Le “social street” hanno aperto la porta a nuove forme di aggregazione e di socialità nei quartieri. Con la bacheca digitale si può offrire a tutti un punto di ritrovo in cui condividere interessi, eventi, pubblicità e informazioni a molteplici livelli. Connettendo, insomma, le opportunità di quartiere a chi le vive in modo nuovo, facile e ingaggiante.

di Maurizio Maddalo, IT Manager  

Aggiornamenti sul Bonus Edilizio 110%

Dal Bonus Edilizio Al Dissesto, Serve Un Piano Per L’edilizia

Bonus edilizio, incentivi per le rinnovabili, cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico, il nostro Paese ha affrontato il tema abitativo in modo sporadico negli ultimi decenni e spesso emergenziale, mostrando il fianco ad abusivismo, frodi e calamità naturali. Serve una strategia di lungo periodo.

L’ottimismo che aveva accompagnato tutte le misure in campo adottate dal Governo in tema di incentivi fiscali rivolti al recupero edilizio ed energetico del patrimonio abitativo, sembra evidenziare alcune metodiche errate anche se gli obbiettivi sono apprezzabili.

L’iniziativa politica per  favorire i soggetti proprietari delle proprie case, deve poi tradursi in regole applicative certe e non sottoposte a continui emendamenti man mano che ci si accorge della complessità fiscale e tecnica dell’argomento. Non si può dare con una mano e poi togliere con l’altra. Così come non si possono creare misure d’incentivazione accompagnate da messaggi che invitano alla gratuità effettiva dell’intervento a carico dello Stato, quando poi quest’ultimo non ha le risorse per attuarlo. Ma è vero ciò?

Il Superbonus 110% ad esempio – quello mediaticamente più famoso – ha esaurito la sua capienza e raggiunto il tetto. Ciò potrebbe non essere completamente vero, dato che la misura ha costituito un contrasto alla depressione dell’attività economica del settore edile con ritorni occupazionali, che tra l’altro hanno limitato il tradizionale “nero” circolante nel settore ed aumentato il fatturato del manufatturiero.

In sostanza si è alleggerito nel comparto edilizio l’intervento assistenziale dello Stato, ovvero il suo contributo economico che sostituisce o integra la retribuzione che è destinata ai lavoratori sospesi dal lavoro o che operano con orario ridotto a causa di difficoltà produttive dell’azienda di appartenenza. Si è rivelata anche una cospicua componente di contributi versati per effetto dell’emersione del regime di lavoro subordinato.

Ci sarebbero quindi tutti presupposti per rendere strutturali tutte queste misure di incentivazione, salvo alcuni effetti negativi, il più delle volte evidenziati mediaticamente o meno e talvolta sostanziali.

I primi riguardano l’anomalia delle frodi perpetrate nei fatti in una misura non esattamente rilevante, cioè dichiarare lavori poi eseguiti. Ma questa è una vecchia storia, direi quasi fisiologica nel nostro Paese e anche di altri, ma non è una ragione sufficiente a  mettere in discussione una misura giusta per il rilancio economico. Misura che tuttavia deve prevedere controlli e interventi repressivi, cosa che si è verificata dato che è emerso il problema, ma anche fattori dissuasivi a monte. Con qualche imposizione sul richiedente, senza creare scandalo sul “tutto gratis”, si poteva costituire una struttura ispettiva di verifica effettiva documentale e poi sul territorio.

L’aspetto rilevante è l’aumento dei costi dei materiali necessari, data la loro richiesta fuori dalla norma, la fase bellica in corso, il rialzo del costo del gas e l’eccessivo ricorso ad essi quali elementi principali di efficientamento energetico,

Mentre si rincorre il cappotto esterno come elemento rilevante, in altre realtà si adottano i criteri della “smart city”, ovvero, quale esempio limite, uso di sensori in grado di creare interconnessione fra oggetti e impianti, ma anche di raccogliere dati utili per comprendere l’effettiva presenza di persone nei vari ambienti e regolare, di conseguenza, temperatura e illuminazione.

Obiettivamente se non si investe in ricerca, si è sempre un passo indietro e il meccanismo speculativo germina più rapidamente. Scorrendo nei ricordi, mi rimase impressa una frase di un autorevole studioso della questione meridionale il quale asseriva che le mafie, abituate ad operare nei settori produttivi più grossolani, quali scavi, rifiuti e cemento, sarebbero arretrate di fronte all’innovazione tecnologica, che cambia il mercato ma anche la testa. Ciò è vero e lo si riscontra in tutti i settori.

Oggi a seguito della vicenda calamitosa avvenuta nel novembre scorso a Ischia, si evidenzia la questione dell’abusivismo edilizio, fenomeno tipicamente diffuso in Italia. Esso ha radici profonde ed è riconducibile al secondo dopoguerra.

Il Paese esce perdente e distrutto dal conflitto e riscontra circa quattordici milioni di edifici inagibili e in macerie. Con la ricostruzione si creano forti flussi migratori interni verso i grossi centri. Ai massicci interventi dello Stato, supportati dal Piano Marshall, corrisposero diversi livelli di emergenza abitativa che venne affrontata in parte nell’immediato e successivamente dal Piano Fanfani. L’intervento pubblico, nel criterio della casa come diritto, proseguì sino al boom economico ed anche oltre, sino al cessare del fondo di prelievo Gescal, che cessò la sua vita nei primi anni ’70. L’intervento dello Stato divenne allora meno prevalente, ovvero più indiretto, meno diffuso e l’emergenza abitativa è rimasta.

Colpevole di ciò è la mancata centralità della casa come diritto prevalente nella pianificazione urbanistica delle città. Non c’è più la visione che essa debba essere un bisogno che deve costare il giusto, senza togliere risorse a un sano ed equilibrato consumo. Dove  l’amministrazione locale non pianifica efficacemente e non sorveglia, si forma talvolta per necessità il mancato rispetto delle regole. Se non si ha accesso facilitato alla casa, si prende un pezzo di terreno e ci si costruisce sopra di sabato e di domenica. Così andando, si creano diversi nuclei abitativi spontaneamente sorti che diventano oggetto delle tre leggi sul condono edilizio che si sono susseguite dal 1985 al 2003.

Il confine tra l’abuso di necessità e non, è difficilmente distinguibile. Tuttavia secondo alcuni dati pubblicati, l‘abusivismo pesa il 47,3% del patrimonio immobiliare al Sud, il 18,9% al centro ed  il 6,7% al Nord.

Parte di questo patrimonio insiste su aree paesaggisticamente rilevanti o interessate da dissesto idrogeologico.

Invece del superbonus si sarebbe potuto pensare a un “Frana Bonus”. Tuttavia è necessario rendere strutturali tutti gli incentivi e rivolgerli alla sicurezza antisismica del patrimonio abitativo, coordinando con essi tutti i finanziamenti che già sono stati assegnati alle regioni e ai Comuni. Tale aspetto non riguarda solo le realtà più interessate dall’abusivismo, ma anche quelle urbane ove vi sono edifici provvisti di titolo edilizio realizzati con strutture in cemento armato che ha esaurito il periodo convenzionale della sua durata stimato in cinquanta-sessanta anni.

Il criterio di sicurezza va sempre pensato accanto quello energetico: essi possono coesistere coniugando tecnologie diverse, intonaci a basso spessore di contenutissime trasmittanze con sottostanti interventi di placcaggio e fasciatura di strutture verticali ed orizzontali.

Non si sa quanto peserà il nuovo provvedimento della riduzione dell’incentivo bonus eco-sisma dal 110% al 90% e quanta influenza avrà l’ipotesi della sua detrazione decennale in termini di utilizzo del credito acquistato da parte dei soggetti finanziari. Probabilmente inizialmente l’interesse in generale diminuirà. Tuttavia il problema permane, la sicurezza ed il risparmio energetico vanno collocati in un giusto intervento strutturale nel tempo e con criteri di sostenibilità per i conti pubblici e per il soggetto beneficiario.

di Domenico Sostero, architetto.