Edilizia libera, quando servono i permessi / 2

Non sempre le attività di edilizia libera si possono eseguire senza effettuare alcuna richiesta alle amministrazioni locali. Vediamo quali sono gli uffici in questione per il Comune di Roma.

Nell’articolo pubblicato sul magazine n. 3/2022 abbiamo parlato delle “vetrate panoramiche amovibili” che sono state inserite tra le attività di edilizia libera dalla recente legge n. 142 del 21 settembre 2022, specificando come debbano rispettare le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali nonché le altre normative di settore.

In questo articolo analizzaremo quali pareri consultivi devono essere preventivamente acquisiti per poter dar corso a tutte le attività edilizie, comprese quelle di edilizia libera (A.E.L) nel territorio comunale individuato come “città storica”, richiamati delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale vigente nel Comune di Roma.

Volendo semplificare per cercare di rendere più facile la lettura, divideremo la “città storica” in due parti, la prima interna alle Mura Aureliane (dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’umanità) e la seconda esterna alle Mura Aureliane.

Il PRG vigente individua vari organismi competenti per il rilascio di pareri consultivi: la sovrintendenza comunale (art. 16 c.10); il Comitato per la Qualità Urbana Edilizia (Co.Q.U.E. – art. 24 c.9 lettera c), c.12 e art. 25 c.8) e la soprintendenza statale per i beni architettonici e per il paesaggio per il Comune di Roma (art. 24 c. 19), in base alla localizzazione del fabbricato oggetto d’intervento.

A seguito del protocollo d’intesa prot. QI /57701 dell’8 settembre 2009 sottoscritto tra il Ministero per i Beni e le attività culturali e il comune di roma – Dipartimento IX – II U.O. Ufficio Permessi di Costruire, si ha un quadro più chiaro sulle competenze dei vari organismi, come di seguito specificato.

 

CITTÀ STORICA

 

  INTERNA alle Mura Aureliane ESTERNA alle Mura Aureliane
Immobili vincolati per Legge ai sensi del D.Lgs 42/2004 Enti preposti alla tutela del vincolo imposto per Legge Enti preposti alla tutela del vincolo imposto per Legge
Immobili non vincolati per legge ma individuati nella Carta della Qualità Sovrintendenza Comunale Sovrintendenza Comunale
Immobili non vincolati per legge e non individuati nella carta della Qualità Soprintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma Co.Q.U.E.

 

L’attenzione cui si vuole richiamare il lettore è quella di non pensare che un intervento rientrante tra le attività di edilizia libera ai sensi della normativa nazionale (DPR 380/01) si possa sempre eseguire liberamente, bisogna sempre tenere a mente le normative regionali e comunali, le quali sono di dettaglio rispetto alla normativa nazionale.

Il mancato rispetto delle prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e delle altre normative di settore ci espongono a rischi di non poco conto.

di Federico Tudini, geometra per il Magazine Condominio Zero Problemi   www.condominiozeroproblemi.it

Edilizia libera e VEPA, quando servono i permessi/ 1

In queste pagine vedremo nel dettaglio cosa dice la norma in merito alle installazioni rientrati nell’ambito dell’edilizia libera.

 

Con l’introduzione del decreto legge 115/2022 convertito nella legge 142/2022 cambia la normativa che regola la possibilità di trasformare alcuni spazi esterni dei nostri fabbricati senza avere alcuna autorizzazione da parte del Comune in cui si trova l’immobile.

Ma cosa prevede nella sostanza questa norma che autorizza l’installazione delle vetrate panoramiche amovibili (VEPA) e soprattutto come impatta sull’estetica di un fabbricato?

Questa tipologia di vetrate devono avere particolari caratteristiche peculiari: devono essere innanzitutto completamente rimovibili e devono proteggere gli ambienti esterni dove vengono installate (terrazzi e balconi) dalle intemperie, in pratica devono creare una sorta di isolamento termico.

La norma nello specifico precisa che sono “dirette ad assolvere funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, di parziale impermeabilizzazione delle acque meteoriche”. Devono inoltre “favorire la naturale micro-aerazione tale da consentire la costante circolazione del flusso di aria” per garantire la salubrità dei vani domestici interni.

Importante è che “non configurino spazi stabilmente chiusi che […] possano generare una nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile” e devono essere sotto il “profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche”.

Di conseguenza è da escludere che questi spazi siano destinati a un uso di permanenza delle persone, ma devono avere le caratteristiche e l’utilizzo di uno spazio accessorio.

In parole povere le lastre di vetro, oltre ad avere tutte le caratteristiche sopra riportate, non dovranno essere fissate a un telaio, ma dovranno scorrere o essere impacchettate per essere aperte o chiuse in qualsiasi momento e soprattutto facilmente rimovibili.

La nuova norma va a integrare quella esistente della cosiddetta edilizia libera, cioè quando per effettuare dei lavori non è necessario alcun atto abilitativo da parte dell’ufficio competente del Comune nel quale si trova l’immobile.

Questa norma stravolge quello che fino a pochi mesi fa era oggetto di autorizzazione del cosiddetto, permesso di costruire per gli interventi di chiusura degli spazi esterni, anche con vetrate scorrevoli.

La norma crea purtroppo delle nuove criticità, anche interpretative. La prima sarà senza dubbio alcuno quando un balcone o una veranda sia da considerare totalmente amovibile (concetto generico) e quando no (rientrando quindi nella vecchia normativa, con tutti i distinguo delle diverse norme locali).

Queste criticità vista la risaputa litigiosità dei condomini, porteranno a numerosi e lunghi contenziosi che con una maggiore attenzione da parte dei legislatori si sarebbero potuti facilmente evitare.

La stessa norma prevede dove si possono installare, “balconi aggettanti dal corpo dell’edificio o di logge rientranti all’interno dell’edificio”, di conseguenze le potremo installare sui balconi e nelle logge dei fabbricati di tipo residenziale.

A nostro parere, non essendo indicato nella norma, dovrebbero essere escluse le installazioni su terrazzi e lastrici solari (qui ci saranno i maggiori problemi sia di natura estetica che di volumetria), nei portici o porticati che sono definiti in modo distinto dal Regolamento Edilizio.

L’impatto estetico, quindi, dovrebbe essere minimo in quanto nella maggior parte delle strutture, soprattutto quelle maggiormente performanti per lo scopo che si vuole raggiungere, le parti metalliche sono poche e quasi impercettibili.

Per ultimo l’installazione non potrà fare a meno di tener conto delle norme che regolano il settore paesaggistico, di sicurezza, contrattuali, condominiali o quelle di altri particolari vincoli esistenti.

vincoli condominiali dovranno essere sempre rispettati. Le vetrate incidono sempre in qualche modo sull’estetica della facciata dell’immobile e di conseguenza va rispettato il “decoro condominiale”.

Se il regolamento condominiale contrattuale pone particolari divieti, essendo per l’appunto contrattuale fra tutti i componenti del condominio, prevale sulla norma di cui si sta parlando.

di Mariolina Servino, art director per il Magazine Condominio Zero Problemi    www.condominiozeroproblemi.it

Come convocare l'assemblea del condominio

La convocazione dell’assemblea: norme da sapere
Vediamo punto per punto quali sono le regole che contraddistinguono la convocazione dell’assemblea condominiale.

 

Chi convoca l’assemblea condominiale

L’assemblea è convocata dall’amministratore in carica.  Soltanto in tre casi abbiamo una convocazione non effettuata dall’amministratore:

1) da ciascun condomino, quando manca l’amministratore (la prima volta, oppure quando sia deceduto o impossibilitato);

2) da almeno due condomini le cui proprietà rappresentino almeno un sesto del valore millesimale dell’edificio, in caso d’inerzia accertata (art. 66 disp. att. c.c.) dell’amministratore in carica;

3) dal curatore speciale, come stabilito dall’art. 65 delle disposizioni attuative del codice civile.

Perché l’assemblea possa validamente deliberare debbono essere convocati tutti i condomini (meglio dire tutti gli aventi diritto).

 

Come si convoca l’assemblea condominiale

Le regole generali della convocazione sono poste dall’art. 66 disp. att. c.c.. La legge 220/2012 ha introdotto delle novità rilevanti. L’avviso di convocazione deve essere in forma scritta, prima era teoricamente possibile anche una convocazione in forma orale.

L’avviso deve essere ricevuto almeno 5 giorni prima della data dell’adunanza di prima convocazione a mezzo di: posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax, consegna a mano.

L’avviso o biglietto di convocazione deve necessariamente contenere i seguenti elementi essenziali, senza i quali la convocazione sarebbe inutile e quindi giuridicamente invalida:

  1. la data (giorno, mese e anno) e l’orario; indicare nello stesso biglietto di convocazione sia la data della prima riunione che quella della seconda è soltanto una prassi, utile ma non requisito essenziale. È una prassi lecita, dettata da ovvi motivi di semplicità ed economia, così da evitare, nel caso in cui la prima andasse deserta, di dover inviare il secondo avviso per la seconda adunanza;
  2. il luogo;
  3. l’ordine del giorno.

Inoltre, seppure non specificato dalla norma, è sempre opportuno che l’avviso rechi l’indicazione chiara (oltre alla banale dicitura “amministratore” il nome e cognomedi chi abbia convocato l’assemblea, così da porre i condomini in condizione di avere piena conoscenza della regolarità della convocazione.

Come detto, per ovvie ragioni di praticità ed economia, nello stesso avviso è opportuno che siano indicati il luogo, la data e l’ora dell’assemblea di prima e di seconda convocazione, rammentando che l’art. 1136 c.c. impone che l’assemblea di seconda convocazione non possa essere tenuta nello stesso giorno della prima, né oltre dieci giorni dalla prima.

Abbiamo già ricordato che l’art. 66 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile statuisce che l’avviso di convocazione “deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata dell’adunanzaIn altre parole l’assemblea deve essere convocata lasciando almeno cinque giorni tra il momento del ricevimento della comunicazione e quello della data di prima convocazione dell’assemblea stessa. I giorni iniziano a decorrere da quello seguente il ricevimento dell’avviso da parte del condomino.

Perché l’assemblea sia valida, quindi, l’avviso di convocazione deve essere ricevuto dal condomino con il rispetto dei tempi sopra indicati.

Se il regolamento di condominio prevede come obbligatorio un determinato sistema di convocazione (ad esempio spedizione con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, oppure convocazione con avviso da consegnare 15 giorni prima della data fissata dell’assemblea) l’amministratore è tenuto ad eseguire la convocazione dell’assemblea nel rispetto della norma del regolamento.

Viceversa, nel silenzio del regolamento, l’amministratore potrà eseguire la convocazione dei condomini con le modalità da lui ritenute opportune, sempre nel rispetto delle forme, dei termini e dei requisiti già indicati, ma tenendo inoltre ben presente che costituisce onere dell’amministratore provare di avere convocato i condomini regolarmente.  La prova che il condomino assente sia stato convocato con corretta tempestività è sempre dell’amministratore.

di Ferdinando della Corte, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi         www.condominiozeroproblemi.it 

Gestione rifiuti in condominio

L’IoT nella gestione smart della raccolta differenziata dei rifiuti

Una delle tecnologie più utilizzate per identificare i contenitori e misurare la quantità di rifiuti è la RFID. Ecco come viene impiegata nel ciclo di raccolta

La gestione dei rifiuti, smart o intelligente,  si inserisce a pieno titolo nel più ampio contesto delle smart city. Il suo scopo è il tracciamento dei rifiuti, dal loro conferimento presso le abitazioni fino alla raccolta e al relativo smaltimento.

In questo contesto la tecnologia svolge un ruolo abilitante e può migliorare la qualità della vita nelle città. Tecnologie abilitanti sono: RFID, sensoristica, NFC (Near Field Communication) e IoT (Internet of Things), componenti integrabili fra loro.

In particolare, RFID (Radio Frequency Identification) è una delle tecnologie ritenute più idonee per una corretta gestione di tutto il ciclo: consente l’identificazione fissa e mobile, dati esatti raccolti in automatico per il calcolo della tariffa precisa (stimolo a comportamento virtuoso degli utenti) e rapidità nelle operazioni di prelievo.

I principi della gestione dei rifiuti alla base del Testo Unico Ambientale contemplano: precauzione, prevenzione, sostenibilità, proporzionalità, responsabilità e cooperazione e sono rivolti sia a produttori sia a distributori. In effetti ciò che conta, nel TUA, è che efficacia, efficienza, economicità, trasparenza e fattibilità tecnica ed economica siano i perni su cui i processi di gestione dei rifiuti siano declinati.

Lo smaltimento dei rifiuti, pertanto, così come concepito fino a prima del Codice dell’ambiente, perde la sua importanza a favore di una Economia circolare, in cui anche il rifiuto acquista una seconda chance e magari una terza, e così via, trasformandolo in materia prima seconda da immettere numerose volte nel processo di recupero.

La prevenzione è il primo approccio da considerare quando si progetta un bene, è nel design che va inclusa da subito la possibilità che quel prodotto sia predisposto al riciclo, prevedendone il suo ciclo di vita e che sia di tipo cradle-to-cradle, cioè dalla culla alla culla, nel pieno rispetto dell’economia circolare. Come si può immediatamente notare dalla lista, lo smaltimento viene posto alla fine, proprio come ultima istanza disponibile.

Raccolta porta a porta dei rifiuti solidi urbani con tecnologia RFID

L’RFID, con la sua capacità di tracciare in modo automatico e massivo i contenitori dei rifiuti, rappresenta la tecnologia migliore per una gestione smart della raccolta dei rifiuti, al fine di giungere a un sistema di calcolo della tassazione più preciso ed equo (tariffa puntuale), basato sul numero effettivo dei ritiri.

Come funziona la gestione smart dei rifiuti con il tracciamento RFID

Il sistema RFID si adatta a diversi sistemi di gestione smart dei rifiuti (sacchetti, mastelli, bidoncini, bidoni e carrellabile in generale, con capacità variabile) e prevede l’apposizione dei tag/transponder, il cui microchip è associato al codice utente del cittadino; sui sacchetti si applicano tag a perdere, sui bidoncini o mastelli di plastica tag a recupero.

La rilevazione e l’identificazione dei sacchi e/o dei contenitori avviene al momento del prelievo, in diverse modalità: identificazione volontaria, ossia tramite un operatore, oppure automatica; identificazione fissa

RFID e ciclo di raccolta dei rifiuti

La tecnologia RFID si inserisce nella gestione smart della raccolta dei rifiuti:

  1. associazione logica e fisica del tag RFID al sacchetto e al contenitore.

L’associazione logica, ossia il legare il codice identificativo univoco racchiuso nella memoria elettronica del tag al singolo utente, può essere contestuale all’associazione fisica:

  • per i sacchetti, durante il processo della loro produzione, il tag può essere automaticamente applicato a ognuno di essi; il tag (o i rotoli di sacchetti) può poi riportare “in chiaro” un numero progressivo identificativo, per consentire nelle fasi successive una facile associazione sacchetto/utente;
  • nel caso di contenitori di plastica (o di metallo), durante la produzione dei contenitori, il tag può essere “annegato” all’interno delle plastiche del recipiente oppure fissato allo stesso.

La soluzione tecnologica può essere introdotta a posteriori rispetto alla produzione, applicando cioè il tag RFID in una posizione convenzionale sui contenitori già esistenti e in uso: l’operatore provvede così ad associare “sul campo” il codice del tag all’utente grazie a dispositivi RFID mobili, che trasferiscono poi i dati sul server centrale in loco oppure da remoto, in base alle necessità del progetto.

2) Assegnazione del sacchetto/contenitore agli utenti.

Una volta muniti di tag RFID, sacchetti e contenitori sono consegnati agli utenti con differenti modalità:

  • sacchetti: tramite distributori automatici dotati di reader RFID, in grado di identificare il cittadino tramite la Carta Regionale dei Servizi (o tramite un’apposita Carta Servizi rilasciata dal Comune) e quindi identificare/associare i tag dei sacchetti rilasciati all’utente, dati, questi, che sono poi trasferiti al sistema informativo centrale.
  • sacchetti/contenitori: con un servizio di distribuzione avviato dall’ente o dal Comune che, con l’ausilio della tecnologia RFID, consente una veloce identificazione dei sacchetti e/o contenitori e un’altrettanta veloce associazione con l’anagrafica dell’utente.

3) Conferimento dei rifiuti

Conferimento dei rifiuti da parte dei cittadini negli appositi contenitori ed esposizione in fronte strada

4) Comunicazioni ai mezzi di raccolta

Eventuale comunicazione della missione di prelievo, dalla sede ai mezzi di raccolta: in questo caso è necessario che l’automezzo (o l’operatore) sia dotato di un tablet o di un dispositivo mobile in grado di visualizzare la mappa del territorio.

5) Raccolta dei rifiuti e identificazione automatica del tag RFID

In questa fase la tecnologia RFID può rilevare in modo automatico oppure volontario i contenitori. In particolare, la rivelazione è implicita (detta anche hand-free) quando l’operatore preleva i sacchetti con tag RFID da bordo strada e li conferisce nel cassone del mezzo, equipaggiato con reader e antenne RFID senza alcuna operazione aggiuntiva.

Si parla invece di rilevazione esplicita, ossia volontaria, quando l’operatore identifica i contenitori (dotati di tag) con un apparato mobile RFID, prelevando i sacchetti e contenitori da bordo strada e riversandoli nel cassone del mezzo con i criteri abituali: una soluzione, questa, adottata nel caso in cui l’accesso all’automezzo non è consentito, oppure come sistema di backup.

6) Scarico dei dati di raccolta rifiuti verso il server centrale/data base

I dati raccolti “sul campo” possono essere memorizzati all’interno di una memoria di massa removibile (es. memory card o chiavetta USB), per poi essere trasferiti su un PC in sede al rientro dell’automezzo dalla missione.

In alternativa, i dati possono essere memorizzati all’interno del controller RFID e trasferiti poi localmente sul server centrale tramite WiFi, al rientro dal giro di prelievo, oppure trasmessi in tempo reale con una comunicazione remota sul server centrale via rete mobile (GSM/GPRS).

7) Tariffazione puntuale all’utente (TARES)

Grazie ai dati acquisiti con questa modalità è possibile calcolare e quindi far pagare agli utenti esattamente ciò che è dovuto per il servizio.

8) Reportistica percorsi con mappatura

I percorsi dei mezzi possono essere tracciati (con riferimento ai soli tag dei sacchi e/o dei contenitori, oppure con l’ausilio del GPS) al fine di ottenere report statistici.

 
Raccolta differenziata con RFID: differenti soluzioni

Gli articolati scenari della raccolta rifiuti sono basati su infrastrutture tecnologiche dell’RFID altrettanto multiformi: la scelta del tag, ad esempio, risponde a parametri economici, di spazio, di resistenza (rugged), oltre alle capacità performanti.

I sistemi RFID passivi in banda UHF, grazie alle maggiori prestazioni di anti-collisione (tracciabilità di più tag in contemporanea) e di distanza di rilevazione, sembrano offrire una maggiore affidabilità.

Ma possono esistere anche tag smart label RFID UHF da apporre sui sacchetti, o da “annegare” all’interno delle plastiche dei contenitori o sotto il bordo del contenitore di plastica; gli hard tag RFID rivestiti di un’apposita plastica e applicati sul fronte esterno del contenitore, mentre i contenitori e cassonetti di metallo ospitano l’on-metal tag che può riportare in chiaro il codice a barre riferito a un progressivo numerico. La stampante RFID stampa questo progressivo numerico e memorizza anche lo stesso codice all’interno del chip del tag.

L’associazione del codice ID del tag con l’anagrafica utente può avvenire da una postazione fissa, oppure direttamente sul campo (nel caso di contenitori già consegnati in passato e quindi in uso), dotando l’operatore di computer mobili che incorporano un reader RFID e, con speciali antenne omnidirezionali, consentono distanze di lettura fino a 2 metri.

Il centro tecnologico del sistema RFID per la raccolta rifiuti si trova soprattutto a bordo degli automezzi, di tipo porter o camion, allestiti con appositi apparati RFID (controller, antenne e dispositivi add-on) per rilevare in modo automatico, quindi senza alcun intervento umano, e massivo quanto versato nel cassone. Le interfacce disponibili lato host sono le più comuni e comprendono: Ethernet RJ45, USB, RS232, RS485, TTL, Wi-Fi, GPRS, TTL/RS232.

Con il sistema RFID il calcolo della tariffazione unica è preciso

Tutte queste informazioni concorrono quindi al calcolo della tariffa utente, composta da una parte fissa e una variabile, conteggiata in base al numero di ritiri del rifiuto non riciclabile: meno rifiuti indifferenziati significa quindi tariffe più basse.

Un unico cloud device, quindi, stand-alone e in grado di semplificare le operazioni di tracciabilità automatica e massiva dei diversi tipi di rifiuti e gestire la filiera del dato completo (rifiuti, operatore, veicolo) senza l’ausilio di veicolari.

 
Tag RFID: con batteria e senza

I tag RFID vengono divisi in due grandi categorie: passivi e attivi. I tag RFID passivi non sono dotati di alimentazione, ma funzionano grazie al campo elettromagnetico emesso dal lettore quando si avvicina (secondo il principio dell’induzione). Questa energia è sufficiente per trasmettere le informazioni che contengono.

I tag RFID attivi, invece, hanno una batteria che permette la trasmissione delle informazioni a una distanza maggiore dal lettore (100-300 metri). Questi ultimi hanno ovviamente potenzialità maggiori, in un’ottica di IoT, rispetto a quelle dei tag passivi, ma presentano un problema: la batteria, prima o poi, si scarica e va sostituita.

Una soluzione a questo problema sembra venire dai ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology): abbinare i tag RFID a una micro-cella fotovoltaica. Il materiale usato per realizzare le celle non è il silicio ma perovskite, formata da titanato di calcio; permette di costruire celle fotovoltaiche flessibili, trasparenti e anche efficienti per alimentare un tag RFID.

Secondo i ricercatori, nelle giuste condizioni ambientali, un tag alimentato da queste celle può funzionare per diversi anni prima di avere bisogno di un intervento di manutenzione. La perovskite, inoltre, è un materiale a basso costo, che si adatta bene a una tecnologia a basso costo come RFID (un’etichetta passiva può costare fra i 5 e i 20 centesimi di euro).

Per quanto riguarda le informazioni che un’etichetta tag RFID può contenere, si va da quelli che possono archiviare un numero seriale di 96 o 128 bit (“Identificazione permanente unica” – UID), ai tag RFID per applicazioni industriali che hanno una memoria di 2 KB, sufficiente per memorizzare informazioni e un numero identificativo di dati associati al prodotto.

Il mercato europeo dei sensori per la gestione smart dei rifiuti

In tutto il mondo risultavano installati complessivamente, nel 2018, circa 379mila sensori per la gestione smart dei rifiuti. La stima entro il 2023 è di 1,5 milioni.

Il mercato europeo è molto attivo, soprattutto nei Paesi Bassi, in Francia, Inghilterra, Spagna e nel Nord Europa. I player più importanti del settore sono industrie statunitensi, seguite quelle finlandesi e cinesi. Queste aziende gestiscono circa il 60% del mercato globale e la maggior parte di esse si è concentrata in un settore specifico, quello che riguarda la gestione dei cassonetti, dei cestini pubblici e del recupero di tessuti riciclabili.

Per la connettività di questi sensori IoT si utilizzano varie tecnologie, anche quella cellulare 2G/3G/4G. A queste, oggi vi sono numerose alternative, ad esempio le tecnologie LPWA (NB-IoT, LTE-M, LoRaWAN e Sigfox), apprezzate per la lunga durata e il basso consumo delle batterie. Secondo una stima, entro il 2023 queste tecnologie copriranno il 50% del mercato dei sensori per la gestione rifiuti.

L’alternativa a RFID: il sistema a sensori ottici laser

Nell’ecosistema IoT esistono anche altre tecnologie utilizzabili per identificare i livelli di riempimento dei cassonetti. Ad esempio, il sistema a sensori ottici laser. Lanciato nel 2016 con la finalità di incentivare la raccolta ecologica dei materiali di scarto riciclabili, attualmente questo sistema IoT di raccolta intelligente dei rifiuti è attivo negli Stati Uniti e in Europa, in particolare in Danimarca.

Il sistema comprende un sensore che funge da dispositivo rilevatore con la capacità di trasmettere i dati al relativo software. Sono inoltre presenti dei sensori ottici, di movimento e di temperatura, la cui attività sinergica garantisce una perfetta sincronia di rilevazione.

Posizionato sul coperchio di ogni cassonetto, il dispositivo è rivolto verso l’interno, per rilevare in tempo reale le condizioni dei contenitori. Anche se i materiali non sono distribuiti in maniera uniforme, l’estrema accuratezza dei sensori garantisce comunque misurazioni attendibili e sicure.

Utilizzando l’intelligenza artificiale, il software del sistema riesce a creare anche una elaborazione 3D dello stato del contenitore.

Uno dei principali vantaggi offerti da questo sistema IoT è offerto dalla possibilità di rilevamento di eventuali situazioni di pericolo, come gli incendi, che vengono evidenziate dai sensori di temperatura. Un accelerometro incorporato è in grado di trasmettere movimenti anomali del contenitore, come lo spostamento o il rovesciamento. Tutti questi dati sono rilevati costantemente e inviati al software. Un ulteriore vantaggio di questo sistema è quello relativo alla durata della batteria, la cui autonomia può arrivare fino a 6/7 anni. Fine modulo

di Maurizio Maddalo, IT Manager di Condominio Zero Problemi

Morosità condominiale

Quando i condomini in regola rispondono per quelli moroso
Il condomino virtuoso intimato può proporre opposizione per far valere il beneficio di preventiva escussione. Un caso concreto di giurisprudenza.

La morosità in condominio può assumere diversi aspetti uno dei quali in particolare può riguardare il coinvolgimento dei condomini virtuosi nel pagamento delle quote di coloro che, non avendo adempiuto ai propri, espongono il condominio ad azioni legali da parte dei terzi creditori.

Una importante novità è stata introdotta con la riforma del codice del 2012 mediante integrazione dell’art. 63 disp. att., c.c. il quale al comma 1, dispone che l’amministratore “è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi”, e al comma 2 che “i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”.

In pratica, per le obbligazioni sorte dopo l’entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, “l’obbligo di pagamento delle quote dovute dai morosi, posto in capo ai condomini in regola nella contribuzione alle spese, è subordinato alla preventiva escussione di questi ultimi, sicché l’obbligo sussidiario di garanzia del condomino solvente risulta limitato in proporzione alla rispettiva quota del moroso e non invece riferibile all’intero debito verso il terzo creditore” (Corte di Cassazione, ordinanza n. 5043/2023).

Il caso

Sulla base di titoli esecutivi formatisi contro il condominio, la parte creditrice notificava atti di precetto nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti pro quota, senza la preventiva escussione dei condomini morosi. Il giudice di pace aveva rigettato le opposizioni, rilevando la qualità di condomini morosi degli opponenti. Gli stessi impugnavano la sentenza innanzi al tribunale sostenendo la violazione dell’articolo 63 co. 2 c.c.

Il tribunale, accertata la loro regolarità nei pagamenti, rilevava che mancava la prova della preventiva escussione dei condomini morosi da parte della creditrice, sicché la stessa non aveva diritto di procedere ad esecuzione forzata nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti.

Dello stesso tenore l’ordinanza della Corte di Cassazione che rigettava il ricorso della parte creditrice sull’assunto che “il condomino in regola coi pagamenti, al quale (come avvenuto nella specie) sia intimato precetto da un creditore sulla base del titolo esecutivo giudiziale formatosi nei confronti del condominio, ben può proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. per fare valere il beneficio di preventiva escussione dei condomini morosi, a norma dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c.”.

 Le motivazioni in favore dei condomini in regola

Nell’ordinanza in commento la suprema corte riporta in modo chiaro ed esaustivo le procedure per una corretta applicazione dell’articolo 63, co. 2 delle disp. att. c.c. al fine di tutelare i condomini da ingiuste aggressioni patrimoniali e salvaguardare anche il diritto del creditore ad ottenere la soddisfazione delle proprie aspettative.

L’articolo 63, comma 2 disp. att. c.c. configura, in capo ai condomini, che abbiano regolarmente pagato la loro quota di contribuzione alle spese condominiali, ed in favore del terzo che sia rimasto creditore (per non avergli l’amministratore versato l’importo necessario a soddisfarne le pretese), un’obbligazione sussidiaria ed eventuale, favorita dal beneficio di escussione avente ad oggetto non l’intera prestazione imputabile al condominio, quanto unicamente le somme dovute dai morosi.

La posizione del condomino in regola con i pagamenti, chiamato dal creditore a rispondere delle quote dovute dai morosi, dopo la preventiva escussione degli stessi, è, pertanto, assimilabile a quella di un fideiussore, sia pure ex lege e rimane obbligato soltanto per la quota di debito proporzionata al valore della sua porzione.

Per “preventiva escussione”, di regola, si ritiene l’esaurimento effettivo della procedura esecutiva individuale in danno del condomino moroso, prima di poter pretendere l’eventuale residuo insoddisfatto al condomino in regola. Essa comporta non soltanto il dovere del terzo di iniziare le azioni contro il moroso, ma anche di continuarle con diligenza e buona fede.

Il creditore del condominio deve dapprima agire contro i partecipanti che siano in ritardo nei pagamenti delle spese per ottenere la condanna, ovvero un titolo esecutivo che permetta di dar corso all’espropriazione dei beni di quello; deve, inoltre, compiere ogni atto cautelare contro i beni stessi, per salvaguardarne l’indisponibilità durante il giudizio diretto alla condanna e deve provare l’insufficienza totale o parziale del patrimonio del condomino moroso preventivamente escusso.

La lettera dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c. (“i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola”) induce ad affermare che il condomino in regola, convenuto in giudizio dal terzo per il pagamento del restante credito condominiale, possa paralizzare, in via di eccezione, l’azione del creditore, con l’opporre utilmente il beneficio della preventiva escussione del patrimonio del condomino moroso, senza dover perciò necessariamente chiamare in causa quest’ultimo.

Secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale, la sentenza recante condanna del condominio per un credito vantato da chi abbia contratto con l’amministratore equivale a sentenza di condanna e quindi a titolo esecutivo nei confronti di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 14/10/2004, n. 20304; Cass. Sez. 3, 29/09/2017, n. 22856; Cass. Sez. 3, 27/06/2022, n. 20590).

Deve quindi ritenersi che il condomino in regola coi pagamenti al quale, come avvenuto nel caso di specie, sia intimato precetto da un creditore sulla base del titolo esecutivo giudiziale formatosi nei confronti del condominio ben può proporre opposizione ex art. 615 del codice di procedura civile per fare valere il beneficio di preventiva escussione dei condomini morosi.

di Luigi De Santis, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi     www.condominiozeroproblemi.it

In che modalità si svolge l'assemblea nel tuo condominio?

Assemblea online o mista, fondamentale dare atto degli accessi virtuali.

Il principio è semplice nella teoria ma meno nella pratica, purtroppo. Infatti quello che si fa per un’assemblea in presenza lo si dovrebbe fare anche per una online o mista, compresa l’annotazione degli orari di ingresso e uscita dei condomini. Non riportarli pone le deliberazioni a rischio annullamento in quanto non vi è certezza del numero dei condomini presenti al momento del voto. A ribadire questo obbligo è il tribunale di Roma con al sentenza 3.330 del 28 febbraio 2023. “Quello che abbiamo fatto con TUIN» spiega Ludovica Leoni, referente della piattaforma per assemblee online TUIN ideata da Epra nel 2020 «è stato garantire all’amministratore di condominio il pieno rispetto delle normative attraverso strumenti tecnologici che risultassero semplici”. Semplici sì, ma non banali.

TUIN infatti permette il riconoscimento del condomino attraverso codice fiscale e password personale evitando l’utilizzo di link che non garantisce la certa identificazione dell’utente come troppo spesso fanno le comuni piattaforme di videoconferenza. Inoltre TUIN, la nota piattaforma targata Epra, con ormai tre anni di esperienza alle spalle e con all’attivo circa 3.000 assemblee svolte, traccia gli orari di ingresso e uscita compresi quelli dovuti alla perdita della connessione internet.

Inoltre all’amministratore viene data contezza, sempre, del quorum aggiornato in tempo reale, il che gli consente di verificare l’effettiva presenza dei condomini senza dover fare il calcolo manualmente. Altro aspetto fondamentale è che TUIN permette di far votare direttamente il condomino per sé e per eventuali deleganti tracciando non solo la tipologia di voto ma anche chi l’ha espresso. «Per un amministratore può essere complesso gestire assemblee online e miste senza uno strumento efficace» continua Ludovica Leoni “mettere a disposizione una piattaforma che lo liberi da tutte le incombenze tecniche permettendogli di concentrarsi solamente sul contenuto dell’assemblea, è per noi motivo di grande soddisfazione”. Infatti al temine dell’assemblea TUIN permette di scaricare lo “storico di assemblea” ovvero, tutto quello che è accaduto nel corso dell’incontro compreso l’eventuale accesso di tecnici esterni al condominio. Non vi basta per usare TUIN? E se vi dicessimo che da qualche mese la piattaforma scrive il verbale al posto vostro? Vi abbiamo convinto?

di Matteo Marini – Epra srl per il Magazine Condominio Zero Problemi

Lo sai che la ristrutturazione della tua abitazione comporta delle conseguenze?

Ristrutturate casa? Occhio al calcolo dell’IMU
La rendita di un immobile su cui si calcola l’Imu può variare d’ufficio, come spesso accade a Roma, ma può essere causata anche da lavori effettuati dal proprietario che impongono di rivedere il calcolo dell’imposta in corso d’anno.

Il calcolo dell’Imu

Per i fabbricati dotati di rendita catastale la base di calcolo per l’Imu si ottiene partendo dalla rendita catastale iscritta al 1° gennaio dell’anno di riferimento. Questa deve poi essere rivalutata del 5% e moltiplicata per i seguenti coefficienti:

  1. 160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10;
  2. 140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;
  3. 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale D/5;
  4. 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale A/10;
  5. 65 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D, ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale D/5;
  6. 55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1.

Ad esempio: per un fabbricato di categoria catastale A/2 con rendita iscritta in catasto al 1° gennaio 2023 di 650 euro, la base imponibile IMU si otterrà della seguente operazione (650,00 x 1,05) x 160, ossia 109.200 euro.

La base imponibile – da ragguagliarsi alla percentuale e ai mesi di possesso dell’immobile durante l’anno – tenendo conto che, si computa l’intero  mese  se il possesso si è protratto per più di 15 giorni – sarà il dato su  cui applicare l’aliquota Imu prevista per tale categoria di immobile.

Variazione della rendita in corso di anno

L’Imu è dovuta per anno solare e, come anticipato, in base alla percentuale e ai mesi di possesso, quindi, il tributo è dovuto dal contribuente possessore (proprietario, usufruttuario, ecc.) in funzione alla percentuale di possesso ed ai mesi di possesso.

Potrebbe accadere che durante l’anno d’imposizione avvenga una variazione di rendita catastale dell’immobile oggetto di tassazione perché  sono stati effettuati importanti  lavori di ristrutturazione che hanno portato a tale conseguenza, oppure perché c’è stato un accertamento d’ufficio che ha rilevato una rendita più elevata di quella che era iscritta in catasto.

Come comportarsi allora per il calcolo dell’imposta per l’anno corrente? Occorrerà considerare la nuova rendita solo dall’anno successivo oppure tenere in considerazione la variazione sin da subito?

Il legislatore espressamente sancisce che le variazioni di rendita catastale intervenute in corso d’anno, a seguito di interventi edilizi sul fabbricato, incidono sul calcolo dell’Imu.

Ecco un elenco di lavori che se effettuati mutano il calcolo dell’Imu nel corso dell’anno:

  • Frazionamento o fusione di unità immobiliari;
  • Realizzazione di un secondo bagno;
  • Costruzione di un armadio a muro;
  • Montaggio di una veranda;
  • Richiesta cambio di destinazione d’uso, trasformando ad esempio parte del soggiorno in cucina;
  • Recupero del sottotetto e trasformazione in mansarda;
  • Creazione di solai e soppalchi.

Questi lavori producono effetti dalla data di ultimazione dei lavori o, se antecedente, dalla data di utilizzo, ne consegue che, se ad esempio, a seguito di lavori di ristrutturazione il fabbricato nel 2023 cambia rendita con data ultimazione lavori 18 maggio 2023, ai fini del calcolo Imu, per 5 mesi (gennaio – maggio) occorre considerare la rendita come risultante in catasto al 1° gennaio, mentre per i restanti 7 mesi (giugno – dicembre) occorrerà considerare ai fini del calcolo del tributo la nuova rendita.

Nulla sembra prevedere riguardo il caso in cui la variazione della rendita avvenga d’ufficio, in tal caso, dunque, vale la disposizione generale secondo cui la rendita da prendere a riferimento per l’anno d’imposizione è sempre quella risultante iscritta al catastalo al 1° gennaio dello stesso anno. La nuova rendita accertata e variata d’ufficio andrà presa, invece, a riferimento per l’anno d’imposizione successivo.

Nel caso in cui il  Comune proceda, per sua iniziativa, alla revisione delle zone catastali, è possibile che vada a determinare una variazione della rendita catastale.

L’assessorato di riferimento del Comune deve comunicare i cambiamenti al proprietario dell’immobile e, ad ogni modo, le variazioni hanno efficacia dal primo gennaio successivo a quello di notifica:

  • In caso di mancata notifica nell’anno in corso, la nuova rendita si applica a partire dall’anno successivo;
  • In caso di notifica dopo la scadenza dell’acconto, l’Imu si paga sulla base della vecchia rendita catastale.

di Francesca Bonanata, commercialista per il Magazine Condominio Zero Problemi

Le infiltrazioni provenienti dai terrazzi agli attici

Chiunque abbia un terrazzo sa che uno degli elementi fondamentali è la pendenza che consente l’allontanamento delle acque piovane: analizziamo una criticità da gestire quando ci troviamo ad intervenire in seguito ad infiltrazioni di acqua provenienti da terrazze poste al piano attico.

Un errore comune è quello di intervenire solo sulla superficie di una proprietà quando affianco vi sono altri terrazzi confinanti che costituiscono spesso un’unica struttura con il primo. In questo caso i lavori devono essere più corposi.

Particolare attenzione va posta innanzitutto sulla possibilità che il terrazzo in esame possa avere pendenza comune con gli altri terrazzi confinanti. In questi casi il terrazzo è da considerarsi come un’unica struttura.

La presenza di ringhiere metalliche o muretti divisori con aperture a ridosso del pavimento, così come la mancanza di bocchettoni di scarico in uno dei terrazzi, ci fanno capire che la pendenza è comune e quindi l’intervento di rifacimento dell’impermeabilizzazione non può interessare una sola proprietà, ma dovrà essere affrontato nella sua interezza. Ciò perché in fase di costruzione il manto impermeabile su cui scorreranno le acque piovane viene applicato sopra il cosiddetto massetto delle pendenze.

La pavimentazione e relativo massetto di allettamento costituiscono una protezione del manto impermeabile, pertanto la loro funzione non è strutturale bensì di finitura.

L’eventuale intervento su una sola porzione del terrazzo non darebbe garanzia di risoluzione al problema di infiltrazioni, in quanto le acque provenienti dai terrazzi confinanti continuerebbero a scorrere sull’originario manto impermeabile infiltrandosi al piano sottostante.

È buona norma eseguire un accurato rilievo dello stato dei luoghi per individuare la posizione dei bocchettoni di scarico e quei punti fermi che durante l’intervento non devono essere modificati, quali ad esempio le soglie delle porte finestre e quelle perimetrali (in mancanza di un parapetto in muratura). Solo dopo la rimozione del pavimento e del relativo massetto di sottofondo si potrà verificare la bontà delle pendenze ed eventualmente andare a correggerle laddove necessario.

di Federico Tudini, geometra per il Magazine Condominio Zero Problemi

La nuova tendenza di creare chat tra i condomini.

Chat condominiali, attenti al reato di diffamazione
Attive oramai in quasi tutti i condomini le chat di gruppo tra abitanti del palazzo sono spesso luogo di liti a distanza e di offese. Attenzione però a quello che scrivete perché le norme valgono anche lì: se offendete qualcuno si può configurare un’ingiuria o, più probabile, una diffamazione.

Un altro reato che può trovare facile consumazione nell’ambito dei rapporti di condomino è, senza dubbio, quello di cui all’art. 595 c.p. rubricato “diffamazione”. Tale delitto si realizza quando qualcuno, comunicando con più persone (almeno due), offende la reputazione di una persona non presente.

In tal caso l’offensore è punito con la reclusione fino ad anno o con la multa fino a euro 1.032,00 oppure, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065,00. Infine, se l’offesa è recata con il mezzo della stampa o con qualsiasi mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico, l’autore è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a euro 516,00.

Il reato è punibile a querela della persona offesa che, come noto, deve proporla entro tre mesi dalla data in cui ha avuto notizia del fatto di illecito.

Si rammenti, invece, che nel caso in cui si offenda l’onore o il decoro di una persona presente, si realizzerà non già una diffamazione ma un’ingiuria che, come stabilito dall’art. 4, comma 1 alla lettera A del decreto legislativo n.7/16, consiste ora in un illecito civile punito con pena pecuniaria da euro 100,00 ad euro 8.000,00 (sanzione che può aumentare negli specifici casi previsti dalla norma).

Ciò premesso, il particolare tipo di diffamazione sul quale intendiamo soffermarci in questa sede è quella che può essere commessa a mezzo chat, mediante, ad esempio, le applicazioni presenti sugli smartphone, quali Whatsapp e Telegram.

Tali applicazioni sono ormai di uso comune anche tra i condomini, i quali sovente creano apposite chat riservate ai membri del condomino ove essi scambiano opinioni, informazioni, critiche e suggerimenti circa la gestione dei beni comuni, non solo mediante messaggi scritti ma anche con fotografie e messaggi vocali.

Tuttavia, la semplicità e l’immediatezza di tali comunicazioni – qualità che ne costituiscono il punto di forza – possono però agevolare una certa superficialità nel relativo utilizzo e, talora, una non adeguata valutazione circa il contenuto dei messaggi (siano essi scritti o vocali) e le espressioni rivolte agli altri partecipanti la chat.

Non è insolito, quindi, che queste stanze virtuali, anche più delle assemblee in presenza, divengano il campo in cui si incontrano e scontrano verbalmente le persone, lasciandosi andare ad espressioni offensive verso questo o quel condomino, financo verso l’amministratore.

Di qui, quindi, occorre chiedersi, nel caso in cui si offenda la reputazione di una persona presente in chat, se tale condotta ricada nell’illecito civile dell’ingiuria o nel reato di diffamazione.

La questione appare tutt’altro che peregrina considerando che la stessa suprema Corte di Cassazione che, nel nostro ordinamento ha anche il compito di assicurare l’uniforme interpretazione delle leggi, è stata chiamata recentemente a pronunciarsi circa il corretto inquadramento dell’offesa alla reputazione a mezzo chat.

A tal proposito la Cassazione, V Sezione penale, con la sentenza n.28675/21, nel risolvere la questione ha premesso che se l’offesa viene profferita nel corso di una riunione “a distanza tra più persone contestualmente collegate, cui partecipa anche l’offeso, ricorrerà l’ingiuria e che al contrario, laddove risultino comunicazioni indirizzate all’offeso e altre persone non contestualmente presenti (in accezione estesa alla presenza virtuale o da remoto) ricorreranno i presupposti della diffamazione.

Conseguentemente, la suprema corte ha così risolto la questione: ”La chat di gruppo di Whatsapp consente l’invio contestuale di messaggi a più persone, che possono riceverli immediatamente o in tempi differiti a seconda dell’efficienza del collegamento ad internet del terminale su cui l’applicazione viene da loro utilizzata; i destinatari possono, poi, leggere i messaggi in tempo reale (perché stanno consultando, in quel momento, proprio quella specifica chat) e, quindi, rispondere con immediatezza ovvero, come accade molto più spesso, possono leggerli, anche a distanza di tempo, quando non sono on line ovvero, pur essendo collegati a Whatsapp, si trovino impegnati in altra conversazione virtuale e non consultino immediatamente la conversazione nell’ambito della quale il messaggio è stato inviato. Pertanto, in caso di offese all’interno di una chat di Whatsapp, la percezione da parte della vittima dell’offesa può essere contestuale ovvero differita, a seconda che ella stia consultando proprio quella specifica chat di Whatsapp o meno; nel primo caso, vi sarà ingiuria aggravata dalla presenza di più persone quanti sono i membri della chat perché la persona offesa dovrà ritenersi virtualmente presente; nel secondo caso si avrà diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente” (Cassazione penale sez. V – 10/06/2022, n. 28675 in Diritto & Giustizia 2022, 21 luglio).

La decisione della corte si pone in piena coerenza con l’orientamento già espresso sulla natura diffamatoria e non ingiuriosa delle email inviate a più destinatari oltre l’offeso.

In tal caso, la medesima V sezione della Cassazione, con la sentenza n.13252/21, aveva chiarito che: – l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria anche se sono presenti altre persone; l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario; – se la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione; – l’offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti) integra sempre la diffamazione.

E infatti, a conferma di quanto sopra, pur sempre la V Sezione della Cassazione ha avuto modo di precisare, incidentalmente, che la diffamazione può realizzarsi anche nel caso il cui l’offesa alla reputazione sia pubblicata nel cosiddetto “stato” di Whatsapp (Cassazione penale sez. V – 01/07/2021, n. 33219).

Al contrario, coerentemente, “non costituisce reato di diffamazione (ma costituisce ingiuria n.d.r.) rivolgere insulti attraverso una chat vocale sulla piattaforma Google Hangouts poiché destinatario del messaggio è unicamente la persona offesa” (Cassazione penale sez. V – 25/02/2020, n. 10905  in Responsabilità Civile e Previdenza 2020, 4, 1306). 

di Mirko Scorsone, avvocato penalista per il Magazine Condominio Zero Problemi

Sai cosa è una terrazza a tasca?

Profilo architettonico e normativo
Si tratta di un particolare spazio all’aperto utilizzato per aumentare la luminosità degli appartamenti e guadagnare spazio all’aperto. È perfettamente legale realizzarlo ma a condizione di rispettare le norme.

 

L’argomento che andremo a trattare in questo nuovo numero del magazine è la “terrazza a tasca”. Vediamo innanzitutto di cosa si tratta. È una tipologia di terrazzo incassata in un tetto a falda inclinata delimitata da parapetti o spallette laterali, accessibile esclusivamente dal sottotetto. Di solito non è visibile dalla strada sottostante, ma perfettamente visibile dai fabbricati limitrofi.

Tale soluzione viene realizzata per ottenere uno spazio all’aperto e aumentare la luminosità dell’appartamento sottostante.

Di solito viene realizzata quando si è proprietari di una mansarda e durante la ristrutturazione dell’immobile si pensa di recuperare il sottotetto per aumentare gli spazi a disposizione con un incremento della luminosità, ma anche del valore dell’immobile.

La dimensione della terrazza a tasca che andremo a realizzare dipende dall’altezza del tetto. Infatti, la profondità che si potrà utilizzare sarà superiore se il tetto sarà basso e avrà un’inclinazione maggiore.

Per poterlo realizzare sarà dovrà essere smantellata una porzione del tetto di copertura del fabbricato. Operazione che dovrà essere effettuata con i necessari accorgimenti tecnici in modo che non siano creati danni al fabbricato sia sotto l’aspetti strutturale e funzionale che del decoro architettonico.

Sotto l’aspetto strutturale difficilmente si verranno a creare delle criticità, ma sotto l’aspetto funzionale bisognerà effettuare tutto il necessario per far si che l’originaria funzionalità del tetto non venga meno a seguito della trasformazione effettuata. In particolar modo bisogna fare attenzione per quanto riguarda gli scarichi delle acque piovane e per la perfetta impermeabilizzazione delle opere eseguite con le adeguate pendenze verso il bocchettone di raccolta delle acque.

Infine, sotto l’aspetto architettonico e del decoro è necessario che abbia il minor impatto possibile sulla struttura originaria. L’accorgimento principale è quello di non rimuovere tutto il tetto ma di conservare la parte esterna per la realizzazione di un parapetto.

Dal punto di vista normativo ci viene incontro una sentenza che possiamo definire innovativa, che consente al proprietario dell’immobile dell’ultimo piano, di realizzare una terrazza a tasca , la quale recita: “Il condomino del piano sottostante al tetto comune, può effettuare la trasformazione di una parte dell’edificio, in terrazza ad uso esclusivo proprio, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene”.

Questa sentenza, in netto contrasto con la precedente giurisprudenza che ritenesse illecita una trasformazione del genere, va letta alla luce della necessità delle nuove esigenze abitative che abbiamo oggi.

Pertanto se il regolamento condominiale contrattuale non fa menzioni al riguardo vietando la realizzazione di una terrazza a tasca è possibile la sua costruzione senza alcun consenso da parte della maggioranza dei condomini.

Tale opera potrebbe essere ostacolata solo se la trasformazione realizzata eliminasse concretamente la possibilità di uso della cosa comune agli altri condomini. Negli anni seguenti ci sono state altre decisioni che si sono allineate a questo orientamento, quali la sentenza della Corte di Cassazione n. 7544/2017 o alla n. 1850/2018.

L’importante è che la funzione originaria del tetto non venga alterata.

Questo non significa però che il condomino che realizzi l’opera non debba dotarsi preventivamente dei permessi edilizi necessari, presentati da un tecnico abilitato, che dovranno essere rilasciati dall’ufficio tecnico del Comune dove si dovrà realizzare l’opera.

La trasformazione realizzata dal condomino comporterà di conseguenza, nei casi in cui si dovrà effettuare negli anni successivi una manutenzione al terrazzo, una variazione dei criteri di ripartizione delle spese.

Infatti mentre alle spese di manutenzione della copertura partecipano tutti in base alla tabella di proprietà (appartamenti, negozi, box, cantine), nella nuova fattispecie che ci andremo a trovare il criterio di ripartizione sarà 1/3 a carico del condomino che ha apportato la modifica in base alla quale ha l’uso esclusivo del terrazzo e per i 2/3 a carico dei soli condomini che sono sottostanti alla proiezione del terrazzo di copertura. Lo stesso criterio dovrà essere utilizzato per eventuali risarcimenti dei danni dovuti a infiltrazioni.

di Mariolina Servino, art director del Magazine Condominio Zero Problemi