Fotovoltaico e diritti

I diritti dei condomini a installare un impianto fotovoltaico
Non sussiste alcun interesse da parte dei condomini ad impugnare una delibera che neghi l'autorizzazione all'installazione di un impianto fotovoltaico quando quest'ultima non è necessaria.

 

Il condomino che intende procedere alla istallazione, su una superficie comune, di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio di una unità immobiliare, che non renda necessaria la modifica delle parti condominiali, può procedere, nel proprio interesse ed a proprie spese, senza richiedere alcuna preventiva autorizzazione dell'assemblea (articolo 1122-bis co. 3 cc)

La delibera assembleare che neghi l'autorizzazione non necessaria non può essere impugnata dal condomino installatore perché non ha alcuni interessi ad agire.

Un parere contrario all'intervento che non sia di ostacolo all'installazione, non genera alcun pregiudizio concreto ai suoi diritti tale da legittimare la richiesta del suo annullamento in quanto assume carattere di superfluità o, comunque, solo valenza consultiva e non decisoria (Corte di Cassazione, ordinanza n.1337/2023).

Il caso

L'assemblea del condominio aveva espresso “voto contrario” all'approvazione di un progetto per l'installazione di dodici pannelli fotovoltaici su parte comune condominiale, comunicato dai condomini installatori all'amministratore.

Questi ultimi, a fronte del diniego dell'autorizzazione, impugnavano la delibera innanzi al tribunale il quale, nel respingere l'impugnazione, sosteneva che  un eventuale annullamento della delibera non avrebbe prodotto alcun effetto positivo  per gli attori dal momento che l'installazione dei pannelli , non modificando alcuna parte comune, non necessitava di alcuna autorizzazione.

Alle stesse conclusioni giungeva alla corte di appello la quale ribadiva ulteriormente che l'assemblea condominiale non aveva vietato agli originari attori di effettuare l'installazione ma si era limitata ad esprimere, alla luce dell'art. 1122 – bis, comma 3 del codice civile, un parere contrario al progetto in questione, per il pregiudizio al pari uso della parte comune, invitando gli interessati a  predisporre un progetto alternativo.

Progetto alternativo da presentarsi solo nel caso in cui, per eseguire l'installazione, si rendessero necessari interventi su parti condominiali (art. 1122 – bis co. 3 cit.).

Ora, poiché ai sensi del citato articolo non risultava alcuna necessità di modificare le parti comuni, non sussisteva alcuna facoltà, per l'assemblea, di prescrivere specifiche modalità esecutive.

Per cui, non vi era alcun interesse ad agire in capo ai signori appellanti in quanto la deliberazione impugnata risultava “contraddistinta da caratteri di superfluità o comunque da valenza consultiva e non decisoria” e non ostacolava l'installazione.

Questi ultimi ricorrono in Cassazione contestando all'assemblea, tra l'altro, di aver esercitato un potere non riconosciutele per legge (ossia deliberare se autorizzare o meno l'installazione di un impianto fotovoltaico), con correlato interesse attuale e concreto ad agire per la dichiaratoria di nullità o annullabilità della delibera la quale esprime,va “un diniego” illegittimo che li aveva convinti che prima di poter legittimamente esercitare il proprio diritto e, quindi, disattendere una delibera e procedere all'installazione dell'impianto fotovoltaico, aggiungendone la necessità di rimuovere l'ostacolo – rappresentato dalla delibera – mediante il suo annullamento.

La posizione della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

La corte d'appello aveva accertato che, al fine di realizzare il progetto di installazione di dodici pannelli fotovoltaici ad opera dei condomini, non risultava alcuna necessità di modificare le parti comuni né, quindi, c'era possibilità per l'assemblea di prescrivere specifiche modalità esecutiva.

In tal senso, la stessa assemblea si sarebbe limitata, giacché sollecitata, ad esprimere un “parere” contrario al progetto in questione, che non assumeva, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, formale frapposizione di un “diniego” ostativo all'iniziativa dei richiedenti .

Solo qualora, infatti, con tale diniego, l'assemblea si fosse opposta alla concreta utilizzazione del bene comune che volesse farne i singoli partecipanti, la delibera di autorizzazione non prevista dalla legge (art. 1122 bis co. 3) poteva ravvisarsi contraria alla legge e come tale impugnabile ex art. 1137 cc

Nella fattispecie in esame, invece, i condomini che desideravano procedere all'istallazione su una superficie comune di un impianto per la produzione di  energia da fonti rinnovabili destinata al servizio di una unità immobiliare, senza la necessità di modificare le parti condominiali, non avevano bisogno  di autorizzazione assembleare  e, pertanto, non avevano interesse ad agire per l'impugnazione della deliberazione dell'assemblea che contenevano un parere contrario all'intervento, non generando la stessa alcun pregiudizio concreto ai loro diritti tale da legittimare la richiesta del suo annullamento in quanto assumeva carattere di superfluità o, comunque, solo valenza consultiva e non decisoria e non era di ostacolo all'installazione.

di Luana Tagliolini, giornalista per il Magazine Condominio Zero Problemi

Fotovoltaico e Condominio

Fotovoltaico in condominio, cosa dice il codice civile
Esaminiamo nel dettaglio le norme che autorizzano ciascun condomino a installare l'impianto fotovoltaico sul lastrico comune del condominio e quali siano gli strumenti a disposizione degli altri condomini per modificarne il progetto

 

LE NUOVE REGOLE SPECIFICHE

 “È consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato” ( Art. 1122 bis , 2° comma, codice civile ).

Quindi il codice civile autorizza e disciplina in modo specifico il diritto di ciascun condomino di utilizzare a proprio esclusivo beneficio il lastrico solare o altro bene comune per installarvi un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili, intendendo sia l'impianto fotovoltaico (  destinati  a convertire le radiazioni solari in energia elettrica da utilizzare poi al servizio domestico) che i  pannelli solari  (che utilizzano i raggi solari per scaldare l'acqua o per il servizio di riscaldamento).

La legge 220 del 2012 ha introdotto una disciplina specifica, molto articolata, per l'esercizio di un diritto che era già riconosciuto, seppure in modo più generico, a favore di ciascun condomino dall'art. 1102 del codice civile.

La prima considerazione da farsi è che  tali impianti sono finalizzati al servizio del fabbisogno elettrico  dell'unità immobiliare privata. La seconda è che possono essere installati su qualsiasi comune bene idoneo, questo rivela la volontà del legislatore di favorire al massimo grado possibile l'installazione di impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Una scelta ben precisa, che ha messo al primo posto l'interesse collettivo alla produzione di energia, favorendone la produzione anche ad opera del singolo.

Arte. 1122 bis, 3° comma, CC

Prima disposizione:  Qualora  si rendano necessarie modifiche delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi”. Qualora.

Pertanto se non vi siano modifiche delle parti comuni il condomino non deve indicare il contenuto specifico e le modalità di esecuzione. Viceversa, se le opere di installazione presuppongono un intervento modificativo delle parti comuni, il condomino deve darne comunicazione all'amministratore, cioè dovrà inviare all'amministratore la documentazione tecnica e ogni altra informazione utile, compresi i nominativi dei professionisti e della ditta. L'amministratore dovrà riferirne in assemblea.

Infatti la norma subito dopo prevede “ L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell'art.1136 cc, adeguate modalità alternative di esecuzione…”.

Attenzione. I condomini  non potranno negare  al condomino “installatore” la possibilità di installare sul lastrico o tetto comune i pannelli fotovoltaici per la produzione di energia ad uso personale. L'assemblea potrà soltanto proporre delle soluzioni alternative che siano adeguate, aprendo la porta ad infinite discussioni sull'adeguatezza di ciò che viene proposto in alternativa.

Per di più si evidenzia che viene chiesta una maggioranza qualificata molto alta (2/3 dei millesimi) il che, rendendo difficile la delibera, favorisce per contrasto l'opera del singolo condomino che voglia installare i pannelli fotovoltaici. Viene da pensare che il tutto sia stato scientemente voluto dal legislatore.

Poi le “adeguate modalità alternative” da proporre presuppongono l'incarico ad un tecnico che valuta il progetto del condomino “installatore” e ne propone uno alternativo secondo le indicazioni dei condomini.

Il tecnico è scelto e nominato dai condomini con apposita delibera, ma soprattutto è pagato dai condomini, il che è facile prevedere sarà poco gradito dai condomini stessi. Tutto concorre quindi a favorire l'opera di installazione del singolo.

L'articolo in esame prosegue disponendo  “o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio …” .

Questa parte della norma appare superflua laddove fa riferimento alla stabilità e alla sicurezza, perché nessuna opera, in nessun caso può mettere a rischio la sicurezza e la stabilità dell'edificio e delle persone.

Per quanto concerne il decoro architettonico, argomento vago e scivoloso, è un'ipotesi oltremodo marginale: infatti per proporre delle cautele al condomino che intende installare i pannelli, occorre che l'assemblea deliberi l'incarico al tecnico, con la maggioranza qualificata che abbiamo visto , di predisporre una soluzione e poi che questa venga accettata dal condomino.

L'art.1122, 3° comma, CC continua prevedendo che “ ai fini dell'installazione degli impianti di cui al secondo comma, provvede  [l'assemblea, ndr],  a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio …”,  norma questa di difficile interpretazione .  Quindi, se non vi è una richiesta degli interessati, l'amministratore non può agire.

 

Arte. 1122 bis, 4° comma, CC

Il 4° comma ha un  impatto pesante , difficile da far digerire ai condomini.

Dice infatti il ​​testo normativo  “L'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale  deve essere consentito  ove necessario per la progettazione e l'esecuzione delle opere”.  Facile immaginare liti furiose.

Di Ferdinando Della Corte, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi

Bonus Fiscali

Fine annunciata e non prematura dei bonus fiscali in edilizia
Sconto in fattura e cessione del credito finiscono in soffitta mettendo una seria ipoteca sui bonus fiscali ora accessibili a pochi. Incentivi utili che andavano programmati meglio.

 

L'ultimo decreto milleproroghe del Governo, sancisce la cessazione della cessione del credito e dello sconto in fattura. Sostanzialmente per coloro che non hanno capienza fiscale, ovvero il cui reddito non consente di detrarre dalle tasse dovute quanto speso per la riqualificazione energetica o per la ristrutturazione del proprio immobile, si para davanti il ​​muro della inaccessibilità a tali bonus fiscali.

Perché è successo questo. I fattori sono molteplici. Uno su tutti è lo scollamento tra la mole della misura  Superbonus 110%  e la volontà da parte di alcune parti politiche di continuare a gestirla. È ben noto che essa fu concepita il 18 luglio 2020 con il decreto n. 77, quindi in piena epoca pandemica, fase storica improvvisa e di estrema difficoltà che affossava ancor di più la disastrosa condizione nel quale versava il settore dell'edilizia nel nostro Paese. Con il sopraggiungere di codesta misura si è creata una ventata di ottimismo che si è tradotta in una immediata marcia in avanti in campo occupazionale e produttivo. L'aspetto più rilevante, a parte la prospettiva di migliorare energeticamente e strutturalmente i propri immobili, era quella della percentuale di  detrazione fiscale attribuita alla spesa fatta o da fare e la possibilità di cedere il credito ed usufruire dello sconto in fattura. In parole povere, oltre a beneficiari della detrazione totale al 100%, vi era un 10% in più premiale che di fatto era diretto ad incentivare chi acquisiva il credito.

Il processo comportava semplicisticamente quindi tre attori principali: il soggetto “A” che era intenzionato a rinnovare radicalmente la propria casa, l'impresa “B” che realizzava i lavori e che emetteva una fattura a zero verso “A” acquisendo il credito, che poi cedeva al soggetto finanziario “C”, il quale se lo detraeva dalla sua fiscalità. Il soggetto “C” restituiva all'impresa quasi il 100% della spesa lavori e si riservava il restante 10% come agio per l'acquisto del credito.

Andando avanti nel tempo quel 100% si è assottigliato, in pratica “C” decurtava in misura maggiore la  monetizzazione del credito verso “B” che faticava sempre più a fare fronte al crescente costo dei materiali ai quali si faceva fronte adeguando i prezzari sulla base di cui si svolgevano i computi metrici estimativi dei lavori da portare in detrazione. A ciò si aggiungeva il difficile reperimento di questi ultimi e quindi nasceva il problema di rientrate nei tempi di una misura temporalmente a termine, altra criticità di non facile superamento, se non con alcune proroghe che procrastinavano in maniera articolata la fruizione dell'incentivo a seconda dei soggetti beneficiari. Alla fine, scaduto un certo termine, che per i condomini era il 31 dicembre 2023, l'aliquota si abbassava progressivamente sino al 2025. Tuttavia rimanevano in piedi anche la  cessione del credito  e lo  sconto in fattura.

È inutile ora andare a sbobinare tutta la sequela delle modifiche fiscali, tecniche e temporali, non basterebbe un trattato in materia, peraltro difficilmente estendibile per essere perfettamente aderente alla cronistoria degli eventi. Di fatto attualmente appare incomprensibile un certo aspetto.

Come mai una misura che era a termine e che prevedeva una spesa pubblica, o meglio una minore entrata di introiti fiscali verso lo Stato per un massimo di 32 miliardi di euro, è arrivata a costarne 120 di miliardi? Già all'inizio del 2022 alcuni istituti di credito avevano acceso il “warning” e segnalavano che erano arrivati ​​al tetto della loro capacità fiscale. Forse era il caso di interrompere allora il processo e poi resettarlo studiando un nuovo provvedimento mentre si verificavano i risultati iniziali. Di seguito si poteva poi tentare di  rendere la misura come strutturale e permanente , ma con maggiore sostenibilità dei conti pubblici e considerando l'equilibrio che si creava tra minori entrate fiscali con il maggiore gettito dato dall'incremento occupazionale e produttivo e dall'aumento del PIL.

Messo tutto in discussione e decretando l'annullamento della cessione del credito/sconto in fattura, peraltro allargato a tutti gli altri bonus fiscali minori, di fatto il settore edile è bloccato, trascinando nella crisi il proprio indotto ed altri comparti produttivi che crescevano di riflesso .

Attualmente risulta non sostenibile per chi non ha sufficienti possibilità  di cambiare la propria caldaia e gli infissi esterni senza usufruire dello sconto del 65% o 50%, figuriamoci se si vanno a considerare maggiori impegni di spesa per la riqualificazione energetica globale dell'immobile o la sua messa in sicurezza antisismica. Vi sono soluzioni al problema? Di certo sul tema vanno responsabilizzati tutti, soprattutto i beneficiari che devono avere coscienza sull'attenta scelta degli interventi e sullo stile di vita per la diminuzione dei consumi quotidiani. A ciò però è d'obbligo da parte del Governo utilizzare tutte le risorse comunitarie per intervenire decisamente su quei versanti più globali che investono il settore dei trasporti, l'incentivazione delle fonti rinnovabili di energia,

Il Governo e le parti politiche devono mettere seriamente la testa sopra al problema, anche perché le misure restrittive sull'uso del gas fossile sono alle porte e non basta sostituire con la pompa di calore la caldaietta a muro appesa fuori al balcone.

Non si può puntare il dito  biasimando le persone che volevano rifarsi casa a spese dello Stato e adducendo le motivazioni della frode che ha caratterizzato in parte il processo dei bonus fiscali.

Il dovere del controllo è di competenza degli organi statali di vigilanza così come lo è l'attenta programmazione della spesa, ma se non si interviene più generalmente sul costo del lavoro attraverso l'abbassamento del cuneo fiscale, la lotta al precariato ed il sostegno ai settori sociali in disagio, difficilmente si potrà raggiungere un maggiore benessere che potrà ottenere un invito a fare di tasca propria, almeno in parte, la riqualificazione della propria casa.

Particolare attenzione va fatta rispetto alla sicurezza antisismica: ogni evento che si scatena sul nostro Appennino, costa decide di miliardi di euro che in urgenza vengono messi a disposizione. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, (PNRR) ha fondato su risorse comunitarie messe a disposizione, assegna notevoli risorse che vanno utilizzate immediatamente nella logica che la salvaguardia del territorio non può essere unicamente a carico del singolo proprietario o altri in concorso con esso.

 

di Domenico Sostero, architetto per il Magazine Condominio Zero Problemi

Supercondominio

Supercondominio, chi partecipa in assemblea?
Parliamo di complessi che uniscono diversi condomini mettendo a disposizione degli abitanti molte parti comuni, ma chi partecipa all'assemblea di questo Supercondominio e con quali vincoli di mandato?

 

Nella realtà odierna abbiamo spesso complessi edilizi articolati in diversi ed autonomi corpi di fabbrica, anche tecnicamente indipendenti per quanto riguarda gli impianti che tuttavia godono di alcuni servizi e impianti comuni, come ingresso, viali di accesso, cortili, accessi pedonali e/o carrabili, giardini, ma anche impianti di riscaldamento centralizzato, impianti per l'acqua potabile, parcheggi, campi da tennis o piscina, locali per la portineria, alloggi per il portiere o altro, tutti legati ai singoli edifici da una relazione di accessorietà.

In tal caso si parla appunto del cd. “supercondominio” o condominio complesso, ove i partecipanti dei singoli edifici, già ciascuno costituito in autonomo condominio, devono insieme gestire anche tali ulteriori beni comuni e condivisi con gli utenti degli altri condomini.

Giova rammentare come il legislatore non utilizzi il termine “supercondominio”, ma lo stesso nel sentire comune e per praticità è diventato di comune dominio e utilizzo, andando ad indicare qualcosa di superiore, una organizzazione al di sopra di quella dei singoli condominii degli edifici separati , che comunque continuano a mantenere la loro autonomia e individualità.

Il raggio di azione dei singoli condomini andava ampliandosi con la gestione di tali ulteriori beni comuni, ma si pose il dubbio se adottasse le regole della comunione di beni, che avrebbe comportato un doppio regime gestorio (condominiale per le parti comuni ed individuali tra i partecipanti ai singoli edifici e di comunione sul bene in comproprietà a tutti i partecipanti ai singoli condominii), con aggravamento delle varie incombenze e necessità di gestione, ovvero le regole tipiche del condominio.

I dubbi in merito alla gestione in comunione o in condominio, erano sciolti dalla novella del 2012 (L. 220/2012), la quale estendeva l'applicabilità delle norme sul condominio anche al supercondominio, prevedendo al nuovo art. 1117-bis cc che le disposizioni in tema di condominio “ si divergono, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di abbiamo edifici parti comuni” .

Dall'entrata in vigore della riforma la gestione di tali beni doveva passare per le regole condominiali, dunque l'assemblea del supercondominio; applicandosi però le medesime norme, si poneva il problema della rappresentanza in detta assemblea. Chi poteva/doveva partecipare all'assemblea del supercondominio?

Certo ammettere tutti i singoli proprietari dei vari condominii avrebbe portato a tenere riunioni difficili e assai poco gestibili, per cui la norma di cui all'art. 67 disp. att. cc, prevede che in caso di numero complessivo inferiore a 60 possano partecipare tutti gli aventi diritto, mentre in caso di numero superiore potranno partecipare esclusivamente il rappresentante di ogni singolo condominio costituente il supercondominio.

Si individuava così la figura del rappresentante, designato dal condominio di appartenenza, e unico soggetto legittimato ad esprimere il voto in assemblea, con efficacia vincolante per l'intero condominio e si stabiliva che nell'assemblea del supercondominio potevano partecipare i soli membri nominati, dai singoli condominii, con la maggioranza degli intervenuti, pari ad almeno 2/3 del valore dell'edificio (maggioranza qualificata ai sensi dell'art. 1136, V comma, cc).

Stabilito quanto sopra ne deriva che anche se non risulta necessaria l'unanimità per nomina dei rappresentanti, essi comunque rappresentino l'intero condominio o meglio tutti i singoli partecipanti ad esso, vincolando anche eventuali assenti, astenuti, dissenzienti.

Il rappresentante, così munito di mandato, abitualmente di durata annuale, è tenuto a rispettare le regole proprie del mandato e dunque a tutelare gli interessi dei rappresentati, osservarne le direttive, riferire delle convocazioni ricevute e delle delibere assunte, affinché l'amministratore ne possa fare poi riferire ai singoli condomini.

Doverosamente, ricevuta la convocazione dell'assemblea del supercondominio, il condominio dovrebbe convocare apposita assemblea per la nomina del rappresentante e per conferire le opportune indicazioni di voto in merito ai punti posti all'ordine del giorno.

Per espressa previsione di legge l'amministratore non potrà ricevere deleghe né, per analogia, essere nominato rappresentante del condominio nel supercondominio.

di Fabrizio Pacileo, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi

Furti in condominio

La responsabilità per furto se i ladri accedono da un ponteggio
In caso di furto in un appartamento situato all'interno di un condominio, realizzato dai ladri accedendo da un ponteggio installato, è configurabile la responsabilità sia dell'imprenditore ex art. 2043 cc che del condominio ex art. 2051 cc.

 

La Corte di Cassazione civile con l'ordinanza n. 26691 del 22 ottobre 2018 ha messo un punto sull'individuazione della responsabilità per un furto avvenuto in un appartamento di un condominio dove i ladri entrarono con l'aiuto di ponteggi non custoditi.

I ladri per entrare all'interno dell'appartamento, si erano serviti di un ponteggio incustodito installato sulla facciata dell'edificio condominiale in ristrutturazione.

Il condomino, proprietario dell'appartamento svaligiato, adì in giudizio sia il Condominio che l'Impresa appaltatrice dei lavori per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale di I° grado ha accolto la domanda di parte attrice condannando sia il condominio che la ditta appaltatrice al risarcimento dei danni subiti dall'attore ed al pagamento delle spese di lite.

Il Condominio propone appello alla sentenza del Tribunale sostenendo che la responsabilità dovrebbe ricadere solamente sull'impresa appaltatrice.

A sua difesa il Condominio sostenne che comunicò più volte all'impresa di attuare le misure necessarie per garantire la sicurezza dei condomini ed eccepì l'inapplicabilità dell'art. 2051, essendo il Condominio custode solamente dei beni comuni.

La Corte di Appello ha accolto il ricorso del Condominio condannando il condomino al rimborso di entrambi i gradi di giudizio.

La Corte d'Appello pur richiamando la responsabilità in solido dell'impresa e del Condominio, escluse la responsabilità ex art. 2051 cc per culpa in vigilando di quest'ultimo, avendo più volte il Condominio chiesto alla ditta, di attuare le misure di sicurezza idonee a garantire la sicurezza contro eventuali furti.

Il condomino propone così ricorso per cassazione, chiedendo la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2051 cc., da parte della Corte d'Appello, in particolare sul punto della mancanza della culpa in vigilando da parte del Codominio.

La Suprema Corte ritenne fondato il ricorso, richiamando nella sentenza impugnata l'art. 2051 cc come norma che disciplina la responsabilità del condominio e che all'interno di questa norma rimane estranea la culpa in vigilando, è pertanto configurabile la responsabilità sia dell'imprenditore, ai sensi dell'art. 2043 del codice civile per omessa ordinaria diligenza nella adozione delle cautele atte ad impedisce l'uso anomalo del ponteggio del quale si erano serviti i ladri ,che del Condominio, ai sensi dell'art. 2051 del codice civile per l'omessa vigilanza, concludendo: “ nella ipotesi di furto in appartamento condominiale, commesso con accesso dalle impalcature installate in occasione della ristrutturazione dell'edificio è configurabile la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2043 cod. civ., per omessa ordinaria diligenza nella adozione delle cautele atte ad impedisce l'uso anomalo dei ponteggi, nonché la responsabilità del condominio, ex art. 2051 cod. civ., per l'omessa vigilanza e custodia, cui è obbligato quale soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura ”.

La suprema Corte accolse il ricorso e cassò la sentenza impugnata.

di Giampiero Sponzilli, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi

Cappotto termico in condominio

Superbonus 110% e decoro Architettonico

Cosa comporta la posa del cappotto termico, uno degli strumenti entrati nel vocabolario di tutti noi con l'arrivo del Superbonus 110%?

Un tema molto dibattuto in questi ultimi due anni nelle assemblee condominiali di tutte le città italiane è senza alcuna di dubbio quello del Superbonus 110% e del cd “  Cappotto Termico” , termini che fino a qualche tempo fa pochi ne conoscevano l'esatto significato, a eccezione dei tecnici del settore.

Invece oggi per chi vive in un ambito condominiale, ma anche in abitazioni unifamiliari, è molto conosciuto. Infatti, il cappotto termico, oltre alle varie disquisizioni puramente tecniche di cui non tratteremo in questo articolo, investe molti di noi proprietari di unità immobiliari in modo molto forte. È oggetto, infatti, di estenuanti e appassionate discussioni sia nelle assemblee condominiali, ma anche nella nostra vita quotidiana.

L'aspetto estetico delle facciate del fabbricato in cui viviamo sta a tutti molto a cuore.

Queste discussioni in molti casi hanno portato i condomini nei vari Tribunali per dirimere la questione “Cappotto sì! Cappotto no! Nei casi di cappotto sì cosa si deve fare per non ledere i diritti dei condomini dissenzienti?

La contrarietà all'installazione del cappotto termico può derivare da vari motivi, ma le principali le principali si possono ricondurre a causa:

  • Alcuni sono contrari in quanto privati ​​​​di una porzione della loro proprietà a seguito della riduzione dello spazio a loro disposizione, derivante dall'applicazione dei pannelli del cappotto nella loro proprietà esclusiva, riduzione che può arrivare anche a 15 centimetri;
  • Altri perché ritengono che venga modificata  l'estetica del fabbricato e il decoro architettonico .

Facciamo un po' di chiarezza in merito all'aspetto estetico che è oggetto del nostro articolo.

Va innanzitutto detto che  il decoro architettonico  di un fabbricato condominiale  ha maggiore rilevanza  rispetto a quanto è previsto dalla normativa che ci consente di rispettare alle agevolazioni fiscali previste con il Superbonus 110%. Con la conseguenza che prevale anche sulle esigenze, oggi molto sentite, di riqualificazione energetica di un fabbricato.

Quanto appeno detto in ogni caso ha dei distinguo e non è valido sempre in termini assoluti. In casi specifici si può intervenire sulle facciate condominiali posizionando il cappotto termico.

Vediamo cosa emerge al riguardo dalla giurisprudenza e dall'Agenzia delle Entrate.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 10371/2021 dispone che “una delibera che dispone di un'innovazione diretta al miglioramento dell'efficienza energetica del fabbricato non deve essere volta necessariamente anche al miglioramento del decoro architettonico”.

L'Agenzia delle Entrate rispondendo a un interpello pervenutole da un contribuente risponde con la n. 685/2021 in questo modo: “Qualora il tecnico abilitato attesta che la rimozione, o demolizione, degli elementi decorativi della facciata isolante, nonché il successivo riposizionamento degli stessi sono lavori di coibentazione della facciata, le relative spese sono ammesse alla detrazione….”

E quindi possiamo affermare che si può intervenire, senza apportare alcuna modifica ai prospetti originari.

Aspetto nettamente diverso è quello della modifica dell'estetica delle facciate di un immobile a seguito dell'installazione del cappotto termico.

In questi casi non basta certamente una delibera con una maggioranza semplice o qualificata, ma dovrà necessariamente essere adottata all'unanimità. (Corte di Cassazione n. 18928/2022).

Per coloro che non sono esperti in materia condominiale si precisa che una delibera è all'unanimità quando è adottata da tutti gli aventi diritto (adottata con mille millesimi) e non solo dai partecipanti a quella specifica assemblea nella quale viene effettuata la votazione.

di Mariolina Servino, Art Director della Rivista Condominio Zero Problemi 

Le immissioni sonore

La tutela penale da immissioni sonore
È un dato di comune esperienza il frequente insorgere di controversie condominiali a causa delle molestie derivanti da immissioni sonore (provenienti da altre abitazioni o da locali commerciali) o da comportamenti fastidiosi di alcuni condomini. Ma in quali circostanze il compimento di atti molesti diventa un illecito penale?

 

Nel caso delle immissioni sonore, la norma alla quale fare riferimento è l'articolo 659 del codice penale, rubricata “ Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” che punisce “ chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturbando le occupazioni o il riposo delle persone ”.

Affinché si configuri tale reato, è tuttavia necessario che le emissioni sonore siano percepibili da una cerchia indeterminata di persone, così da essere lesive della tranquillità pubblica. Pertanto, nel caso in cui i rumori molesti vengano denunciati da un solo condomino, o dagli occupanti una singola unità immobiliare prossima alla sorgente del rumore, sarà necessario verificare se anche gli altri inquilini dello stabile ne siano stati (o potrebbero esserne, trattandosi di reato di pericolo) infastiditi. Ed infatti, in un caso avente ad oggetto i rumori lamentati da un condomino e prodotti, anche a tarda ora, dai vicini dell'appartamento soprastante, è stata esclusa la sussistenza del reato poiché, in mancanza di riscontri circa il disturbo per altri inquilini dello stabile, le emissioni sonore non sono risultate incidenti sulla tranquillità pubblica. Parimenti, con una recente pronuncia della Corte di Cassazione, è stato ritenuto insussistente il reato in questione nel caso dei rumori prodotti da una discoteca poiché dall'istruttoria dibattimentale era emerso che l'unica a dolersene era stata una famiglia composta da due persone. Al contrario, il reato è stato ritenuto sussistente nel caso di due coniugi che non impedivano l'abbaiare, anche nelle ore notturne, dei loro cani lasciati nel cortile condominiale, così come nel caso del gestore di un centro commerciale, sito a piano terra di uno stabile condominiale, i cui condizionatori recavano disturbo agli inquilini. è stato ritenuto insussistente il reato in questione nel caso dei rumori prodotti da una discoteca poiché dall'istruttoria dibattimentale era emerso che l'unica a dolersene era stata una famiglia composta da due persone. Al contrario, il reato è stato ritenuto sussistente nel caso di due coniugi che non impedivano l'abbaiare, anche nelle ore notturne, dei loro cani lasciati nel cortile condominiale, così come nel caso del gestore di un centro commerciale, sito a piano terra di uno stabile condominiale, i cui condizionatori recavano disturbo agli inquilini. è stato ritenuto insussistente il reato in questione nel caso dei rumori prodotti da una discoteca poiché dall'istruttoria dibattimentale era emerso che l'unica a dolersene era stata una famiglia composta da due persone. Al contrario, il reato è stato ritenuto sussistente nel caso di due coniugi che non impedivano l'abbaiare, anche nelle ore notturne, dei loro cani lasciati nel cortile condominiale, così come nel caso del gestore di un centro commerciale, sito a piano terra di uno stabile condominiale, i cui condizionatori recavano disturbo agli inquilini.

Le immissioni sonore non costituiscono l'unica ipotesi di molestia condominiale: frequenti è anche il caso di denuncia nei confronti di condomini che gettano dalla finestra o dal balcone rifiuti di vario genere, che finiscono nelle proprietà sottostanti. In tali casi, potrebbe trovare applicazione l'art. 674 cp, rubricato “Getto pericoloso di cose” che punisce “ Chiunque getta o versa , in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti ”.

Affinché il reato in questione risulti integrato è necessario che la condotta sia idonea a causare un danno diretto alle persone e non solo alle cose, di talché se, per un verso, è stata condannata una condomina per aver gettato nel balcone del piano sottostante cicche di sigarette e detersivi corrosivi, non è stato per altro verso riconosciuto il reato nella condotta di scuotimento di tovaglie e tappeti da briciole e polvere, considerato inidonea a causare molestie alle persone.

Le due fattispecie contravvenzionali sopra analizzate, non sono tuttavia gli unici strumenti di tutela penale a fronte di comportamenti molesti in ambito condominiale. Ed infatti nei casi più gravi, allorquando cioè vengano posti in essere atti ripetuti volti ad arrecare volontariamente un disturbo intollerabile a uno o a una pluralità di condomini per un periodo prolungato di tempo, in maniera tale da condizionarne la vita di tutti i giorni, può trovare applicazione il reato di atti persecutori (cd . stalking ) di cui all'art. 612  bis  cp

di Maria Valeria Feraco, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi

Il sito condominiale

L’importanza di un sito web nel 2023: quanto conta essere online
Oggi è sempre più importante, quasi indispensabile, avere un sito web, che sia per la propria attività, per un professionista, per un amministratore di condominio o per un'associazione. Ma quali sono i benefici ei vantaggi che derivano dalla creazione di un sito internet?

 

Perché chi ancora ne è sprovvisto dovrebbe pensare a svilupparne uno? Prima di tutto  un sito  web  è , a tutti gli effetti,  il biglietto da visita del proprio  business .  Far visitare la pagina web, punto di riferimento per nuovi potenziali clienti, suscita maggiore interesse per il professionista e all'attività ricercati ma, soprattutto, spingerà il nuovo cliente ad affidarsi ai vostri servizi piuttosto che ad altri e consoliderà il rapporto con il cliente già acquisito.

Attraverso un sito internet  è possibile esplicitare la propria filosofia aziendale , le proprie caratteristiche, le offerte e  farsi conoscere come realtà digitale all'avanguardia. È una vetrina che rimane accesa 24 ore al giorno, tutto l'anno. Questo fa sì che l'utente fornisca quella sensazione di tranquillità dovuta alla totale assenza di qualsiasi limite temporale o geografico, che lo rende libero di scegliere quando e dove cercare ciò di cui necessita. E' possibile modificare e aggiungere contenuti ogni volta che lo si ritiene necessario con semplici operazioni; tramite un sito internet, se ben strutturato, le aziende possono presentarsi, raccontarsi e descrivere i prodotti e servizi offerti.

La presenza  online  è fondamentale  per dare rilievo alle proprie iniziative e per accogliere un numero sempre maggiore di utenti  che, se soddisfatti dalla propria esperienza di navigazione, attraverso  feedback  e recensioni, porterà altri utenti, generando un flusso continuo di visitatori virtuali, che equivale ad una potenziale nuova clientela.

La questione più importante e più delicata è sapere  come strutturare il sito internet  e, ovviamente, farlo in modo competente, funzionale, di qualità e intuitivo. Tutto ciò è possibile solo affidandosi a un  esperto  web-designer  che sa indirizzare chi vuole interagire con il resto del mondo, anche virtuale e che sia in grado di tradurre le tue esigenze in una realtà.

di Ludovica Leoni, per il Magazine Condominio Zero Problemi

Legge Pinto

Legge Pinto e legittimazione attiva del singolo condomino
A oltre 30 anni di distanza dall’approvazione della Legge Pinto, oggi i giudici tendono a riconoscere il diritto al risarcimento al solo condominio e non ai singoli abitanti del palazzo.

La legge n. 89 del 2001, meglio conosciuta come “Legge Pinto” (dal nome del suo estensore Michele Pinto), consente di chiedere allo Stato una equa riparazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalle parti a causa della irragionevole durata del processo.

Trattasi di un’obbligazione ex lege di natura indennitaria introdotta al fine di sanzionare la ben nota problematica dell’eccessiva lunghezza dei tempi della giustizia italiana.

Tale normativa e, in particolare, la Legge Pinto si pone in attuazione dell’art. 6 CEDU e dell’art. 111 della Costituzione che sancisce la “ragionevole durata del processo”.

E’ la legge suddetta che sancisce la durata “ragionevole” del processo superata la quale la parte può chiedere il ristoro allo Stato con una procedura ad hoc.

La questione suddetta ha interessato gli addetti ai lavori per quanto concerne la risarcibilità del danno non patrimoniale delle persone giuridiche e, nello specifico, nei confronti del Condominio.

Premesso che in merito alla natura giuridica del Condominio ferventi appaiono oggi i dibattiti in dottrina e giurisprudenza sulla sua qualificazione giuridica, ragion per cui la questione viene trattata in questa sede parlando di soggetti collettivi in generale, si osserva che la giurisprudenza in passato non ammetteva la risarcibilità del danno non patrimoniale nei confronti di un soggetto collettivo in considerazione del fatto che il richiedente deve fornire rigorosa prova del danno il quale deve incidere sull’esistenza, sulla reputazione e sull’identità dell’ente (cfr. Cassazione, sentenza n. 12119/2004).

Solo con la sentenza n. 7145/2006 la Suprema Corte ha chiarito che “in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo …  anche per le persone giuridiche (e, più in generale, per i soggetti collettivi) il danno non patrimoniale … è … conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria  della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo … a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte  alla gestione dell’ente o ai suoi membri…”.

Tale sentenza risulta di particolare pregio perché riconosce la risarcibilità del danno non patrimoniale che potrebbe definirsi “indiretta”, in quanto non di vera e propria sofferenza dell’ente immateriale può parlarsi, quanto di un patema d’animo sofferto da colui che l’ente rappresenta o amministra.

Ciò chiarito, bisogna affrontare un’altra questione oggetto di un fervente dibattito, ossia la legittimazione attiva dei singoli condomini a richiedere il risarcimento da irragionevole durata del processo, allorquando nel giudizio la parte processuale sia stata il Condominio.

Sul punto, si segnala che in diverse circostanze i singoli condomini hanno attivato la procedura risarcitoria anzidetta motivando la propria legittimazione attiva sulla connessione del diritto dal quale scaturiva la pretesa indennitaria.

La Cassazione, però, è più volte intervenuta negando la legittimazione attiva del singolo.

E’ stato chiarito che  “in caso di violazione del termine ragionevole del processo, qualora il giudizio sia stato promosso dal condominio, sebbene a tutela di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini, ma senza che costoro siano stati parte in causa, la legittimazione ad agire per l’equa riparazione spetta esclusivamente al condominio, quale autonomo soggetto giuridico, in persona dell’amministratore, autorizzato dall’assemblea dei condomini.” ( cfr. Cass. sent. n. 5426/16)

Pertanto, seguendo quello ad oggi appare l’orientamento prevalente, si deve concludere che nel caso in cui il Condominio sia stato parte di un processo, la successiva richiesta indennitaria spetta esclusivamente al Condominio in persona del suo Amministratore e non al singolo condomino.

di Filippo Simone Zinelli, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi

L'evoluzione della figura dell'amministratore di condominio dal punto di vista giuridico

L’Amministratore di condominio: libero professionista?
Come bisogna la professione dell’amministratore di condominio che, negli ultimi anni, ha visto introdurre strumenti e ruoli che fanno di chi la esercita a tutti gli effetti un libero professionista?

La Seconda Sezione della Corte di Cassazione riunita  in Camera di Consiglio il  22 gennaio 2021 n. 7874 ha affermato che: “il contratto tipico di amministrazione di condominio … omissis … non costituisce prestazione d’opera intellettuale, e non è perciò soggetto alle norme che il codice civile  prevede per il relativo contratto, atteso che l’esercizio della relativa attività di amministratore di condominio non è subordinata – come richiesto dall’art. 2229 c.c. – all’iscrizione in apposito albo o elenco,  … omissis … e rientra, piuttosto, nell’ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla legge 14 gennaio 2013 n. 4”.

Tale autorevole affermazione ha suscitato un ampio dibattito focalizzato sull’assunto “atteso che l’esercizio di tale attività non è subordinata – come richiesto dall’art. 2229 c.c. – all’iscrizione in apposito albo o elenco … “

Con tutta la modestia possibile, ma con pari fermezza, pur tenendo conto del valore altissimo di coloro che già si sono pronunciati in senso favorevole a tale pronunciamento, mi permetto di scrivere che non sono d’accordo con la Corte di Cassazione.

Con l’espressione libero professionista si intende un lavoratore autonomo che presta la propria attività di natura intellettuale a favore di terzi.

Ebbene, per la massima chiarezza espositiva dico subito che a mio parere l’amministratore di condominio è un libero professionista a tutto tondo e lo è sia perché lo prevede la normativa, sia perché lo è nei fatti.

La normativa

Rileggiamo il primo comma dell’art. 2229 c.c., sul quale si fonda il ragionamento della Suprema Corte: ”La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”.

Ebbene, la norma in esame non dice che per aversi una professione intellettuale sia sempre e comunque necessario l’iscrizione ad un albo o elenco. Non impone quale condizione sine qua non l’iscrizione ad un albo o elenco per l’esercizio di una professione intellettuale.

Più semplicemente ed esattamente il citato capoverso ci dice che la legge individua quali siano le professioni intellettuali per le quali sia necessaria l’iscrizione ad un albo. Ma non vieta, non impedisce che ci siano professioni intellettuali per le quali non sia necessaria l’iscrizione in albi o elenchi.

Infatti non è scritto: “requisito essenziale per l’esercizio di una professione intellettuale è l’iscrizione in appositi albi o elenchi”.

Il capoverso dell’art. 2229 c.c. opera una mera, seppure rilevante precisazione, affermando che vi sono delle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in albi o elenchi, ma non esclude, tutt’altro, che possano esservi altre professioni intellettuali per le quali tale iscrizione non sia un presupposto essenziale.

E tutto ciò viene confermato proprio dalla legge 14 gennaio 2013 n. 4 che, in perfetta aderenza al dettato del primo comma dell’art. 2229 c.c., ha, per l’appunto, disciplinato alcune professioni intellettuali per il cui esercizio non è prevista l’iscrizione in albi o elenchi.

Per semplicità riporto qui di seguito lo stralcio del testo dei primi articoli della legge 14 gennaio 2013 n. 4

“Art. 1. La presente legge, in attuazione  dell’art.  117,  terzo  comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà’ di circolazione,  disciplina  le professioni non organizzate in ordini o collegi.”

Il testo è chiaro, è in perfetta armonia, concorda con quanto previsto dal capoverso dell’art. 2229 c.c.: la legge in esame disciplina le professioni intellettuali per il cui esercizio non sia presupposto necessario l’iscrizione ad un albo.

“Art.  2. Ai fini della presente legge, per «professione  non  organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l’attività’ economica, anche organizzata, volta alla  prestazione  di servizi o di opere a  favore  di  terzi,  esercitata  abitualmente  e prevalentemente mediante lavoro intellettuale,  o  comunque  con  il concorso di questo, con  esclusione  delle  attività’  riservate  per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi  dell’art.  2229 del codice civile … “

“Art. 4. L’esercizio   della   professione   è   libero   e    fondato sull’autonomia, sulle  competenze  e  sull’indipendenza  di  giudizio intellettuale e tecnica, nel rispetto dei  principi  di  buona  fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela,  della  correttezza, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta  dei  servizi, della responsabilità del professionista.”

Le parole “professione “ “lavoro intellettuale”, “giudizio intellettuale”, ma soprattutto l’intero impianto della legge n. 4/2013 sono inequivocabili. Il legislatore ha voluto disciplinare le professioni intellettuali “non  organizzate in ordini o collegi”.

Le norme quindi riconoscono la legittimità e quindi e consentono che vi siano professioni intellettuali per il cui esercizio non sia obbligatoria l’iscrizione in un albo.

La realtà sostanziale

L’attività dell’amministratore di condominio, soprattutto dopo la radicale riforma del 2012, non può più essere racchiusa nella troppo stretta gabbia del contratto di mandato, che può spiegare solo in parte, e neppure la più rilevante, la natura della sua attività professionale. L’attività dell’amministratore è ben più complessa e diversa da quella prevista e disciplinata dal contratto di mandato.

L’attività dell’amministratore di immobili oggi implica responsabilità personali che il mandatario non conosce.

E allora è logico domandarsi in che cosa consista l’attività dell’amministratore di immobili, quale sia la natura della sua attività e il confronto con la realtà quotidiana  mi porta alla conclusione che l’amministratore di condominio sia un libero professionista.

Perché la sostanza delle cose alla fine prevale sugli schemi giuridici preconfezionati.

Mi limito a due esempi eclatanti di attività professionali dell’amministratore.

L’art. 1130, 1° comma, nn. 3 e 4 c.c. dispone che l’amministratore agisca per il recupero in via giudiziaria ed esecutiva dei crediti per quote condominiali non pagate senza aver bisogno di alcuna delibera che lo autorizzi. Del pari è tenuto a compiere gli atti conservativi, sostanziali e giudiziari, in via autonoma, senza necessità di alcuna delibera.

Decide lui, in piena autonomia, in base alla propria competenza professionale se e quando agire. Sceglie lui l’impresa alla quale affidare l’intervento urgente per eliminare il pericolo o il legale al quale affidare il mandato ad agire o resistere in giudizio. Sono sue personali valutazioni.

Decide lui, perché ha il diritto e il dovere professionale di farlo. Se e che cosa fare è  una sua scelta intellettuale. Ha una tale e totale autonomia decisionale che le sue scelte ricadono in modo ineludibile sui condomini, i quali sono poi tenuti al pagamento delle spese derivanti dalle sue decisioni. E se le sue decisioni, se le sue scelte autonome fossero sbagliate, sarà tenuto a risponderne personalmente.

Lo stesso discorso vale nelle ipotesi di cause che abbiano come oggetto l’impugnazione delle delibere assembleari.

La Corte di Cassazione ci ha insegnato che in tali casi l’amministratore ha il diritto e il dovere professionale di difendere le delibere impugnate senza chiedere all’assemblea di essere autorizzato alla difesa. E’ suo dovere professionale valutare la situazione, scegliere il legale e concordare con lui le logiche difensive. E anche in questo caso la sua decisione, presa in totale autonomia, vincola i condomini, i quali dovranno sostenere i relativi costi.

Se l’amministratore di condominio non fosse un libero professionista, tutto questo non sarebbe possibile.

di Ferdinando della Corte, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi